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Fenomenologia dell'urbex: ovvero perché amiamo fotografare e postare sui social rovine e luoghi abbandonati

Urbex: sui social spopolano rovine e posti abbandonati

Non è nuovo veramente, ma l'urbex si è trasformato presto nel fenomeno social di fotografare rovine e luoghi abbandonati e postarli.

È stato il fenomeno dell’estate, tanto che a oggi solo su Instagram ci sono oltre sette milioni e duecento post taggati #urbex. Se fino a qualche anno fa l’urban exploration, in breve appunto urbex, era soprattutto l’hobby di appassionati esploratori urbani sempre alla ricerca di nuovi posti da vedere lontani dalla calca dei turisti e che, tutt’al più, potessero diventare set delle proprie foto professionali, oggi edifici abbandonati, impianti dismessi, rovine di antichi monumenti, grandi opere incompiute attirano sempre più gente, grazie anche – inutile negarlo – alla possibilità di realizzare lo scatto perfetto per Instagram e co.

urbex esempio ascosilasciti

Esempio di Urbex. Foto di Dadiv Galvache (c) https://ascosilasciti.com/

Come nasce e cosa c’è dietro la popolarità dell’urbex

Che i social influenzino le scelte di viaggio del resto non è più una novità: una cosa però è prenotare una vacanza nella meta popolare del momento, anche solo perché non manchi nella propria galleria quello scatto che stanno condividendo tutti, e un’altra è fotografare una stazione di periferia dove non passano (quasi) più treni, un impianto industriale dismesso perché pericoloso e via di questo passo.

urbex tendenza su Instagram

Solo su Instagram ci sono oltre sette milioni di post in cui è stato utilizzato l’hashtag #urbex. Il fenomeno dell’urban exploration, però, nasce ben prima dell’era social.

L’urbex, che ha origini decisamente più vecchie dell’era social, è insomma un fenomeno complesso in cui l’esibizionismo, vissuto come necessità di condividere con amici e follower un continuo live streaming della propria vita quotidiana, è in compagnia della voglia di spingersi oltre i (propri) limiti per esempio o, ancora, della ricerca spasmodica di originalità. Si fotografa quello che resta di un antico rifugio antiaereo ai confini della città cioè per poter dire io ci sono stato, ma sicuramente anche per deliziare – e, perché no, fidelizzare – il proprio pubblico (immaginato) con scatti insoliti e difficili da ritrovare altrove nel flusso di contenuti tutti simili tra loro, in una costante ricerca del like in più e, a ben vedere forse, di approvazione personale.

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° To be found is to be exposed. No wonder so many of us are still lost. Craig D. Lounsbrough ° ☆☠. proud member of.☠☆ #rustlord #jj_urbex_ #jj_urbanart #ethereal_moods #entropy_to_epitaphs #urbexartists #fadedbeautyindecay ………………………………………………………… ☠☠☠☠☠☠☠☠☠☠☠☠☠ ……………………………………………………. #abandoned #kings_abandoned #urbex #grime_reapers #justgoshoot #s_shot #thedarkpr0ject #abandonedafterdark #urbex_utopia #urbex_supreme  #urbaninterzone #abandon_seekers_ #welcometwoneverland #fiftyshades_of_darkness #abandoned_addiction  #urbexinfected #alerurbex #abandophiles #souls_hunters #gallery_of_dark_arts #abandoned_excellence ☠☠☠☠☠☠☠☠☠☠☠

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Nel fotografare e postare su Instagram scatti di locali di servizio di impianti industriali o di aree ad accesso interdetto, tra i topoi più amati da chi fa urbex c’è però anche la ricerca del brivido: come chi fa rooftopping e si arrampica all’ultimo piano dei grattacieli più alti di Hong Kong alla ricerca del selfie estremo, l’esploratore urbano che si inoltra in aree di proprietà privata rischiando conseguenze anche legali per questa violazione o passa ore e ore in aree non bonificate e senza le adeguate protezioni, mettendo a rischio la propria salute per una foto da condividere sui social che nessun altro può avere, non può non essere alla ricerca di emozioni forti qualche volta difficili da trovare altrove, iperstimolati come siamo dentro e fuori dai social da distrazioni di natura diversa.

L’esplorazione urbana di luoghi abbandonati tra immersione catartica, memoria e senso di comunità

Qualche volta però l’esplorazione urbana, anche nella sua versione instagrammabile, ha quasi un valore catartico e di memoria.

Tra le mete più amate da chi fa urbex in Italia e non solo ci sono infatti, per esempio, manicomi e ospedali psichiatrici giudiziari abbandonati negli anni Ottanta. Fotografare camicie di forza, lettini per i trattamenti obbligatori, scritte degli ex pazienti sui muri potrebbe essere come mettersi nei loro panni, in un gioco di empatia che non può non coinvolgere, a valle, anche chi in quelle foto si imbatte casualmente mentre scrolla il feed di Instagram.

Altri luoghi preferiti tra chi fa urban exploration sono siti tristemente noti come teatri di disastri ambientali o gravi incidenti e che portano ancora le tracce di quanto successo, da non confondere con un altro fenomeno, non meno popolare, quale il desiderio di fotografarsi o fotografare posti in cui siano avvenuti omicidi o altri reati gravi. Non è passato molto tempo da quando il successo della serie “Chernobyl” ha portato nell’area dell’ex impianto nucleare migliaia di influencer e di utenti comuni alla ricerca dello scatto virale.

In Giappone tanti si recano a fotografare le zone, per lo più ex distretti industriali, colpiti dagli tsunami. In Italia qualcosa di simile lo fa chi fa urbex tra le macerie, i cantieri di ricostruzione e le zone rosse dei paesi colpiti dai terremoti del Centro Italia e chissà che non si tratti, appunto, di un modo di esorcizzare la paura o di allenare la memoria.

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“Terræ Motus. Geografie e storie dell’Italia fragile”⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣📷 © @terraprojectnet / La messa di Natale a Cossito, frazione di Amatrice. Dicembre 2016⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣A Matera, Capitale europea della cultura 2019 una grande mostra fotografica su mezzo secolo di terremoti: da L’Aquila, il Belice e l’Irpinia fino agli eventi sismici in Centro Italia⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣📍A palazzo Acito, fino al 20 gennaio 2020⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣Ideata e curata da Antonio Di Giacomo, giornalista di Repubblica, la mostra si snoda attraverso 124 immagini di grande formato, realizzate da alcuni fra i più significativi autori della fotografia documentaria e fotogiornalisti in Italia.⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣Ad attendere il pubblico che, fino al 20 gennaio 2020 visiterà l’esposizione a palazzo Acito, una narrazione dell’ultimo mezzo secolo di terremoti e dunque delle criticità nella gestione del doposisma in Italia. A partire da L’Aquila, nel decennale del sisma che il 6 aprile 2009 la mise in ginocchio e dalla devastante sequenza di eventi sismici che fra il 2016 e il 2017 ha sbriciolato 140 paesi in quattro regioni del Centro Italia. Fino a orientare lo sguardo su quello che sono oggi territori – il Belice del 1968 e l’Irpinia e la Basilicata del 1980 – colpiti da altri violenti terremoti.⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣➡️ La mostra è realizzata nell’ambito del programma ufficiale della Capitale Europea della Cultura 2019.⁣⁣⁣⁣⁣ (@matera2019)⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣📅 E’ aperta tutti i giorni, dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 20, ingresso con passaporto Matera 2019.⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣ ⁣⁣⁣⁣⁣⁣⁣#terremoto #earthquake #fotogiornalismo #fotografiadocumentaria #documentaryphotography #documentary #laquila #terremotocentroitalia #6aprile2009 #matera #capitaledellacultura2019 #matera2019 #materacapitaledellacultura2019 #exhibition #vernissage #abruzzo #centroitalia #emiliaromagna #irpinia #earthquakes #cossito #marche #basilicata #lucania #arquatadeltronto #amatrice #norcia #pescaradeltronto #casamicciola #terraproject

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È quando l’urbex ha come protagoniste periferie e aree degradate dei grandi agglomerati urbani che si nota, insieme, un senso di comunità e di appartenenza e una sorta di impegno e desiderio di riscatto. A fotografare le grandi periferie urbane e il loro degrado è, spesso, chi quelle periferie le abita e le conosce bene: mostrarle al mondo nel loro volto più vero e meno stereotipato, anche grazie a un semplice post su Instagram, è così allo stesso tempo come ribadire il proprio orgoglio, la propria appartenenza culturale e sollecitare un impegno allargato perché le cose possano cambiare. Non a caso è frequente che grandi periferie come Scampia, a Napoli, siano mete di esplorazioni di gruppo – ben diverse dai tour organizzati dei luoghi pop di Gomorra – che hanno l’obiettivo di sollecitare uno sguardo diverso sulle realtà in questione.

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Scampia, vista sempre come capro espiatorio. Scampia abbandonata e sfruttata. Scampia usata da scrittori, registi e giornalisti per raggiungere il loro scopo 💰. La rinascita e il cambiamento partono da noi. Avremo sempre da dimostrare a qualcuno che non siamo come ci dipingono, ci guarderanno sempre con occhi di disprezzo perché veniamo da #gomorra ormai l'abbinamento viene naturale. Quelli che restano sono gli eroi, non chi scappa e cerca di "raccontare" la parte difficile del quartiere, quella la conoscono pure i bambini. Il mondo oggi è così, si aspetta sempre di sentire la storia di una sparatoria o di un morto…il "bene" non fa notizia. Abituatevi allora a non sentir parlare più di noi . . . . . 🏙 #scampia #cambiamento #nonsiamosologomorra #napoli #naples #napolidavivere #life_is_street #ig_shutterbugs #worldstreetphotography #photoobserve #streetphoto #loves_street #streetlife #street_photo_club #streetphotography #ig_streetphotography #ig_streetpeople #worldstreetfeature #street_storytelling #streetselect #capturestreets #ourstreets #streetsgrammer #everybodystreet #lensculturestreets #streetdreamsmag #storyofthestreet #street

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Di social, ma già da molto prima che i social plasmassero le abitudini dei più, l’urbex del resto ha da sempre la dimensione di community, oggi elevata a potenza appunto dal potersi confrontare su forum ad hoc, dare appuntamento su gruppi Facebook dedicati, ritrovarsi facilmente grazie a hashtag tematici.

L’ubex e il marketing del territorio

Considerata da qualcuno come la naturale conseguenza della riscoperta nell’estetica di Instagram del brutto – o, meglio, del normale – la recente popolarità dell’urbex potrebbe essere sfruttata in maniera proficua, e già in parte lo è, da chi fa marketing del territorio. La città di Detroit, da sempre una delle mete ambite dagli esploratori urbani per la varietà di siti – soprattutto ex impianti industriali, ma anche linee di trasporto pubblico e vecchi quartieri popolari – abbandonati, ha puntato sul turismo da rovine tanto da contare percorsi, guide e dei contenuti web, quelli di detroiturbex.com, pensati appositamente per questa categoria di turisti.

Oggi che tourism marketing e city marketing non possono fare a meno di collaborare con travel blogger e travel influencer, anche posti come Gibellina (in Sicilia, rimasta completamente abbandonata dopo il terremoto della Valle del Belice del 1968, ndr), diventati di tendenza e sempre più visitati proprio da questi piccoli decisori della Rete forse anche per come sanno apparire luoghi fuori dal tempo, avrebbero tutto di guadagnato dallo sfruttare l’afflusso di turisti da rovine per rivalorizzare aree economicamente e socialmente depresse o destagionalizzare e distribuire i flussi turistici e, più in generale, aumentare l’indotto economico legato agli arrivi.

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