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Davvero gli Uffizi vogliono far pagare gli influencer se postano foto o video realizzati al loro interno?

Gli Uffizi vogliono far pagare gli influencer?

La notizia di un presunto "abbonamento mensile" da far pagare a blogger, influencer e altri content creator che condividono con le proprie community immagini, foto o video realizzati all'interno delle Gallerie è rimbalzata di quotidiano in quotidiano. Non è però una notizia fondata, hanno subito rimarcato dagli Uffizi.

Cosa c’è di vero nella notizia secondo cui gli Uffizi vogliono far pagare gli influencer ? E perché, comunque la si legga, è una notizia che dice (più di) qualcosa su musei, digitale, nuove forme di promozione del patrimonio artistico-culturale di un paese e anche di autopromozione per istituzioni, divulgatori, content creator che lavorano nel campo dell’arte?

Gli Uffizi vogliono far pagare gli influencer: da dove arriva la notizia?

Tutto è iniziato con un articolo del Corriere fiorentino che già nel titolo citava una presunta «tassa» imposta dalle Gallerie degli Uffizi a blogger e altri content creator per poter pubblicare foto o video delle opere esposte sui propri blog o profili social e che, nel corpo, continuava parlando di «un forfait mensile», «una specie di abbonamento a costo inferiore» proposto – pare – dalle guide del polo museale ad art influencer e altri utenti con un buon seguito tra quelli che di consueto sfruttano l’arte per coinvolgere le proprie community per poter continuare a utilizzare immagini, video e altri contenuti multimediali realizzati all’interno della Galleria.

Proposta che, secondo i virgolettati riportati dalla testata e il racconto fatto personalmente in un post su Instagram, si sarebbe sentita rivolgere personalmente anche Sara Innocenti, meglio nota in Rete come la “Inflorencer” per come ormai da tempo racconta la città di Firenze e il suo patrimonio artistico-culturale.

Nel post la notizia secondo cui gli Uffizi vogliono far pagare gli influencer è diventata la notizia della volontà del direttore della Galleria di vietare qualsiasi foto o video all’interno dei corridoi del museo, a meno che non si tratti di foto o video realizzati a scopo strettamente personale; il paragone è scattato subito con altre realtà che, nella stessa città, coinvolgono – e pagano – invece blogger e influencer nella promozione di collezioni e mostre temporanee e ne è nata persino una sorta di campagna hashtag che, a suon di #divulgazionedartelibera, ha chiamato a raccolta numerosi content creator che parlano d’arte e cultura in Rete per difendere il libero accesso a un’arte che è di tutti e «per tutti», ha sottolineato l’influencer.

La replica del museo, però, non è tardata ad arrivare. In una nota ufficiale diffusa a numerose testate di settore è stato rimarcato che la notizia secondo cui gli Uffizi vogliono far pagare gli influencer è «completamente infondata» e che «non esiste alcun balzello» per VIP della Rete, blogger, content creator professionisti o chiunque sia disposto a pagare per le foto che scatta all’interno delle gallerie e alle opere che vi sono esposte.

Esiste semmai un limite normativo, quello del Decreto Legge 83/2014, che permette le riproduzioni fotografiche all’interno di musei e simili esclusivamente «ai fini di uso personale e di studio» e impone, invece, la richiesta di un’autorizzazione e l’eventuale pagamento di un canone se le riprese fotografiche sono realizzate «a usi derivati, anche per scopo commerciale».

Quelle richiamate tra le regole per la riapertura in sicurezza dopo lo stop imposto dall’emergenza coronavirus sono, insomma, solo previsioni di legge e non il tentativo di rendere inaccessibile le proprie collezioni o, peggio, di ostacolare il lavoro di chi fa ogni giorno –  e lo fa gratuitamente e per tutti – divulgazione sui temi dell’arte e della cultura o impedire nuove forme di fruizione del patrimonio artistico-culturale italiano. La polemica in merito alle regole sembra essere scaturita, comunque, dall’aggiornamento della sezione “Qualche regola da seguire!” sul sito degli Uffizi, contenente delle norme, per lo più igienico-sanitarie, da rispettare durante la visita)

Può davvero uno dei musei più digitali d’Italia ignorare il ruolo di chi divulga arte in Rete?

Da anni non ci sono classifiche tematiche che non includano gli Uffizi tra i musei più digitali d’Italia e, più di recente, il polo fiorentino e i suoi social media strategist sono stati molto apprezzati per il lavoro fatto su TikTok allo scopo di coinvolgere – e naturalmente, alla fine del funnel, attrarre a visitare il museo – un pubblico di giovanissimi della generazione z e della generazione alpha .

Con lo stesso obiettivo a luglio 2020 aveva trasformato un servizio fotografico, (quello, sì, a pagamento, ndr) realizzato all’interno delle proprie sale per VOGUE Hong Kong in un’occasione per fare di Chiara Ferragni un ambassador del brand Uffizi: anche in quell’occasione le polemiche non erano mancate ed erano focalizzate soprattutto su un post in cui l’influencer era paragonata a una versione moderna della Venere di Botticelli; l’effetto Ferragni però non tardò ad arrivare, con oltre un quarto di visitatori in più under 25 che, nel weekend successivo, decisero di visitare le Gallerie degli Uffizi.

Non si può certo dire che quella degli Uffizi sia una posizione “apocalittica” nei confronti del digitale e di dinamiche tipiche al suo interno, quali appunto la credibilità e l’affetto di cui godono alcuni utenti da parte delle proprie community: credibilità e affetto che, di fatto, si traducono nella capacità di questi stessi utenti di trasformarsi in veri e propri trend setter anche quando si tratta di consumi culturali o cosa andare a visitare, quali attrazioni turistiche non perdersi quando si è in viaggio.

Ci sono oggi, in altre parole, molti micro influencer e nano influencer che fanno promozione culturale e sarebbe cieco da parte di istituzioni e qualunque altro soggetto deputato a fare marketing del territorio non tenerli in considerazione o, ancor di più, non pensare a possibili collaborazioni.

Se fosse vera la notizia secondo cui gli Uffizi vogliono far pagare gli influencer sarebbe la totale negazione di anni di teorie sull’importanza del marketing collaborativo quando si tratta di marketing turistico o marketing culturale.

Fare gli interessi (commerciali) di chi detiene il patrimonio culturale, in un anno di grande perdita

Una cosa però è lasciare che a parlare di arte sui social siano (anche) influencer, content creator professionisti e divulgatori d’arte – ed eventualmente raccogliere i frutti di campagne, partnership e collaborazioni appositamente pensate con questi – e un’altra cosa, completamente diversa, è lasciare che qualcuno indebitamente lucri su tour o altre forme di visite virtuali a sale e collezioni che in questi mesi di pandemia hanno rappresentato il grosso della fruizione museale.

Così, tra le nuove regole per visitare in sicurezza le Gallerie è stato sottolineato che chi intende utilizzare foto, video o altri contenuti multimediali che abbiano per oggetto dipinti e collezioni custoditi al loro interno per scopo commerciale o anche solo autopromozionale e di personal branding potrebbe dover utilizzare una fee; con ciò gli Uffizi sembrano sottolineare che alla necessaria «tutela del patrimonio culturale» prevista per legge occorra affiancare una tutela degli interessi, più smaccatamente commerciali, di chi quel patrimonio lo custodisce.

Soprattutto in un anno in cui, secondo delle stime ISTAT, per le chiusure da coronavirus i musei italiani hanno perso almeno 78 milioni di euro di incasso e a livello globale, secondo un altro studio, i primi cento luoghi d’arte più visitati al mondo hanno visto ridurre gli ingressi del 77% con un impatto non indifferente sulle finanze.

Mentre c’è chi sperimenta strategie di promozione museale basate sull’ospitare set delle serie TV cult del momento o sul chiudere partnership con brand dell’apparel o della tradizione orologiaia per dare la possibilità ai propri visitatori più affezionati letteralmente di “indossare” i propri capolavori, gli Uffizi si limitano a ricordare a chiunque intenda trarre guadagno dalle proprie collezioni che ciò non può avvenire gratis.

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