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SEOZoom rivela il numero dietro gli algoritmi di Google per il ranking

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Sul palco dell'evento We Make Future 2024 di Bologna Ivano Di Biasi ha illustrato i dati esaminati con lo strumento Traffic Share rivelando informazioni interessanti sulla top 3 dei risultati in SERP.

45,46 non è un numero qualsiasi, ma la percentuale di traffico che generalmente ottiene una pagina web se raggiunge la prima posizione su Google per una keyword, ma non solo. Come rivelato da Ivano Di Biasi dal palco dell’evento We Make Future di Bologna, rappresenta «il dato di Traffic Share su un intero cluster, che vuol dire che la pagina è sempre al primo posto per qualsiasi ricerca correlata».

Nel suo intervento all’importante manifestazione italiana sui temi della tecnologia e del digitale, Di Biasi ha presentato i risultati di un lungo studio realizzato utilizzando i big data di SEOZoom di cui è CEO e co-founder, per capire come si stia comportando ultimamente Google riguardo al posizionamento dei siti nelle sue pagine dei risultati.

Il risultato è stato sorprendente: per la prima volta è stato «possibile individuare con precisione una serie di pattern ricorrenti su Google, che evidenziano anche un pregiudizio dell’algoritmo, che sembra essere diventato pigro e posiziona le pagine in maniera praticamente fissa», ha commentato Di Biasi.

Lo studio sul comportamento di Google: il 45,46% ricorrente e non solo

Il report si è incentrato su milioni e milioni di keyword, domini e URL su Google grazie a SEOZoom, che ha appunto analizzato tutte le keyword e le loro SERP.

I dati sono stati esaminati con lo strumento Traffic Share, che offre indicazioni molto più veritiere sugli effettivi rendimenti dei siti. Al contrario delle classiche metriche SEO, infatti, questo tool indica le pagine e i siti che generano più traffico su tutto l’intento di ricerca, non solo su una singola keyword. In altre parole, fornisce informazioni sul “volume di ricerca complessivo” generato dal set di parole chiave correlate al bisogno che spinge le persone a cercare su Google, e che il motore di ricerca traduce in risultati pertinenti.

Al termine di questo studio sono emersi tre pattern molto evidenti e per certi versi preoccupanti per chi si occupa di SEO, anche se forse non particolarmente sorprendenti:

  • Google posiziona sempre gli stessi siti ai primi tre posti. La top 3 su Google è sempre identica nel tempo e le posizioni non cambiano; al contrario, il ranking di chi è in basso è estremamente instabile e ruota vertiginosamente, ogni giorno, con conseguenti variazioni di visibilità e clic;
  • i primi tre siti, insieme, conquistano circa il 77% di tutti i clic degli utenti. Ovvero, più di sette utenti su dieci finiscono su una delle prime tre pagine mostrate dal motore di ricerca. Tutti gli altri siti sono quindi costretti a dividersi appena il 23% dell’intero volume di ricerca;
  • i siti della top 3 conquistano le stesse posizioni non solo per una singola keyword, ma per tutte le parole chiave correlate all’intento di ricerca. Qui che emerge il valore di 45,46% su interi cluster, che è appunto la quota di traffico che segnala che la pagina è sempre al primo posto su qualsiasi keyword. Questo include anche le keyword long tail, che una volta erano la “speranza” dei siti più piccoli alla ricerca di visibilità.

Cosa significa 45,46%: l’esempio del settore food

Questa tendenza è molto evidente nel settore food, al centro delle slide mostrate da Ivano Di Biasi dal palco del WMF 2024.

Qui, per esempio, le prime tre posizioni sono praticamente presidiate sempre da GialloZafferano, Cucchiaio.it e Fattoincasadabenedetta, solitamente anche in questo preciso ordine.

Ciò significa, nell’ottica di Google, che per tutte le ricerche che riguardano ricette e cucina «i contenuti di GialloZafferano sono sempre migliori di tutti su tutto, quelli di Cucchiaio.it sono sempre leggermente al di sotto e poi quelli di fattoincasadabenedetta sono sempre sotto i primi due, ma comunque migliori di tutti gli altri esistenti», ha affermato. C’è evidentemente una stortura perché «sicuramente ci sono contenuti migliori in posizioni più basse, penalizzati dal pregiudizio dell’algoritmo di Google».

Eppure, questo comportamento di Google spiega anche un caso frequente in cui si imbatte chi lavora per un sito web piccolo (o comunque non “top”):

«scriviamo un contenuto eccellente lavorando su un tema non trattato dai competitor più grandi e inizialmente raggiungiamo le prime posizioni sul motore di ricerca – ha raccontato ancora Di Biasi–; poi i competitor scrivono un articolo simile e perdiamo il posizionamento all’istante. Se analizziamo l’articolo del competitor, però, ci rendiamo conto che il nostro è 100 volte migliore».

La SEO non è morta, ma serve un approccio data-driven per emergere

Queste evidenze non implicano necessariamente (per l’ennesima volta) la “morte della SEO” o la rassegnazione all’impossibilità di competere.

Nel suo intervento, infatti, Ivano Di Biasi ha indicato alcune possibili strategie per far emergere contenuti ottimi che però non sono “ben visti” dall’algoritmo di Google.

Per ottenere risultati, è fondamentale comprendere alcuni aspetti chiave:

  1. l’autorevolezza del dominio è il principale fattore di ranking, e anche il recente caso del Google leak lo ha confermato;
  2. la SEO può fare la differenza, ma solo se integrata con altre attività off-site dedicate all’aumento dell’autorevolezza (link building, digital PR, eventi, attività per social media e/o TV e/o stampa, menzioni e citazioni su siti UGC, libri e altre pubblicazioni);
  3. quando una propria pagina si posiziona meglio dei grandi competitor vuol dire che il proprio contenuto è superlativo, non semplicemente di qualità. E per raggiungere questo obiettivo diventa essenziale l’utilizzo di strumenti avanzati, come l’assistente editoriale di SEOZoom;
  4. le keyword non esistono più e nemmeno la long tail: se vogliamo posizionarci, dobbiamo farlo per tutto l’intento di ricerca che ci ruota intorno.

Un esempio pratico: l’ottimizzazione on-site nel settore cucina

Nel suo intervento al WMF2024, il CEO di SEOZoom ha anche mostrato gli effetti di un test eseguito su un sito attivo proprio nell’ambito cucina, con ottimizzazioni on-site per dare autorevolezza ai contenuti migliori.

Il primo tentativo è stato piuttosto “spericolato”: la rivoluzione completa della struttura dei link interni, e quindi essenzialmente uno stravolgimento dell’intero sito. Negli anni passati questo intervento avrebbe provocato un immediato impatto: un enorme guadagno di traffico o, al contrario, una perdita netta. E invece, in tre mesi non c’è stata nessuna variazione.

È servita quindi un’altra prova che Ivano Di Biasi ha così descritto:

«ho individuato tutte le pagine del sito che parlano di varianti della carbonara o che sono correlate, per esempio in quanto ricette laziali. In ogni pagina ho linkato l’URL che volevo posizionare, utilizzando anchor text differenti.

Il mio scopo era creare un insieme tematico di pagine del sito che parlassero dello stesso argomento, insomma una sorta di minisito interno sulla carbonara, per avere più trust sul topic».

Questo lavoro ha dato risultati immediati: tutte le keyword importanti sono entrate in top 10 nel giro di poche ore «anche se la top 3 non la smuove nessuno», ha spiegato.

Come avere visibilità su Google oggi: le strategie per i siti piccoli

Anche un sito che genera milioni di visite mensili, quindi, può apparire piccolo agli occhi di Google e non riuscire a scalfire il predominio ingombrante dei competitor fissi in top 3.

Ma c’è comunque una soluzione: grazie a SEOZoom, infatti, Ivano Di Biasi ha individuato tutti i cluster di keyword dove i competitor principali hanno una percentuale di Traffic Share al di sotto del 20%, segno quindi che hanno lasciato uno spazio disponibile.

«È proprio lì che possiamo guadagnare traffico organico, perché lavorare sui cluster dove tutti i competitor sono sempre primi è una perdita di tempo», ha sintetizzato.

Dati alla mano, insomma, è il momento di smettere di concentrarsi «sulle keyword e sull’illusione della long tail: bisogna lavorare sui cluster e andare alla ricerca di quel numero maledetto, il 45,46% che in molti settori può segnare una sconfitta in partenza se non si adottano tecniche nuove, ma che può diventare anche il nostro traguardo da raggiungere con una strategia mirata», ha concluso Ivano Di Biasi.

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