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Pubblica amministrazione e coronavirus: possono le soluzioni "d'emergenza" segnare finalmente la strada verso la digitalizzazione?

Pubblica amministrazione e coronavirus: che sfide?

Pubblica amministrazione e coronavirus: molti hanno guardato alle soluzioni adottate durante la crisi come a una via segnata verso la digitalizzazione.

Dallo smart working per i dipendenti pubblici a più servizi accessibili online, in remoto o tramite app: quando si tratta di pubblica amministrazione e coronavirus la prima tentazione è pensare che l’emergenza sanitaria in atto abbia dato un impulso inedito al grande tema della trasformazione digitale nella PA di cui in Italia si discute da decenni e che, fin qui, ha proceduto però per accelerazioni e frenate improvvise. Colpa della compresenza di enti che hanno gerarchia e competenza territoriale diversa, cosa che «produce convergenze e naturali conflittualità», come sottolinea Stefano Rolando, docente di comunicazione pubblica e politica, all’Osservatorio IULM Comunicazione in tempo di crisi. O, come sottolinea Agenda Digitale, di una certa instabilità normativa, dell’inerzia di alcune amministrazioni e del difficile coordinamento tra queste che, di fatto, hanno rischiato di rendere quello della PA digitale poco più che un proclama.

Pubblica amministrazione e coronavirus: di cosa parla il ricorso allo smart working da parte degli enti pubblici

La circolare con cui il Ministro per la Pubblica Amministrazione ha invitato le PA a incentivare lo smart working, lo scorso 4 marzo, per tutelare il diritto alla salute dei dipendenti pubblici è apparsa così, per esempio, una – emergenziale, almeno quanto tardiva – applicazione del D.L. 81/2017 che già introduceva anche nel settore pubblico forme di lavoro agile. Alla terza settimana di aprile, tra i modi in cui il coronavirus ha cambiato le abitudini degli italiani, c’era da contare insomma anche il ricorso massivo allo smart working da parte della maggior parte di enti pubblici, di tutte le Regioni e indipendentemente dalla natura stessa dell’ente.

Ciò non toglie che, osservando più da vicino i dati resi disponibili dallo stesso Ministro, si possano notare differenze importanti nel modo in cui ogni realtà ha interpretato il binomio pubblica amministrazione e coronavirus: per enti e amministrazioni statali la quota di dipendenti in smartworking in questo periodo di lockdown è stata, per esempio, in media l’80% e ci sono state Regioni più virtuose di altre come l’Abruzzo (qui la percentuale di dipendenti pubblici che ha fatto ricorso a forme di lavoro agile è stata del 100%) o la Lombardia (dove la percentuale supera, invece, il 98%). Allo stesso modo per realtà, e ce ne sono tante anche nel settore pubblico italiano come sottolinea Forum PA, che già prima della crisi avevano approntato una precisa strategia di digitalizzazione che comprendesse anche la sperimentazione di modalità spazio-temporali flessibili attraverso cui svolgere la prestazione lavorativa è stato più semplice rispondere all’emergenza coronavirus con uno smartworking efficiente ed efficace, anche e soprattutto in termini di servizio al cittadino.

Perché quelle trovate per affrontare l’emergenza non possono essere soluzioni permanenti per la PA digitale

Come, con che soluzioni e incontrando quali difficoltà le pubbliche amministrazioni hanno risposto alla crisi è insomma, è stato sottolineato da molti, una cartina al tornasole delle questioni da sempre in gioco quando si parla di PA digitale. L’efficacia e l’efficienza dell’azione della PA sono dettati costituzionali a cui fanno il pari, almeno dagli anni Novanta e con l’approvazione delle leggi sul procedimento amministrativo, i principi di speditezza e trasparenza della stessa e, se la digitalizzazione della pubblica amministrazione e dei suoi servizi sembrerebbero muoversi proprio in questa direzione, non si possono non fare alcune considerazioni di contesto.

In primo luogo, quello pubblico è forse il settore che più soffre del cosiddetto gap generazionale sul posto di lavoro e, semplificando molto, più dipendenti più in là negli anni significa più difficoltà – o costi ingenti di formazione – nello switch all’organizzazione digitale del lavoro. Non a caso, com’è stato sottolineato più volte e da più commentatori anche durante l’ultima #PASocial 2020, le sfide che pongono lavoro da remoto , lavoro agile e più in generale digitalizzazione nella pubblica amministrazione sono soprattutto sfide dirigenziali: a una certa cultura del presenzialismo andrebbero sostituiti, infatti, metodi e strumenti di valutazione delle performance e della professionalità de facto del dipendente. Ancora in tema di forza lavoro ma guardando più direttamente alla soddisfazione del dipendente pubblico, andrebbe rivisto il corpus di diritti del lavoratore e introdotto quello che è ormai comunemente noto come diritto alla disconnessione e che ha a che vedere con un giusto bilanciamento tra lavoro e vita privata anche quando il primo si trasferisce a casa.

C’è una figura, quella del responsabile per la transizione al digitale (RTD), prevista dal Codice dell’Amministrazione Digitale, che dovrebbe farsi carico di queste scelte e di altre più direttamente legate all’infrastruttura della digitalizzazione nella PA. Anche in questo senso sembra esserci ancora molto da fare: alle pubbliche amministrazioni italiane servono più cloud, più archivi e documenti digitali.

Più a monte: la dotazione tecnologica è spesso indisponibile o insufficiente in rapporto al numero di dipendenti e c’è una scarsa propensione in Italia per il byod , nonostante la già citata circolare del 4 marzo 2020 faccia esplicitamente riferimento a permettere, in caso di disponibilità da parte del dipendente pubblico, anche l’utilizzo di dispositivi personali. In questa prospettiva non è difficile spiegarsi i cattivi risultati di regioni come la Calabria, per esempio, in cui meno di un dipendente pubblico su due avrebbe fatto smart working durante il lockdown e, più in generale, le difficoltà per la pubblica amministrazione di passare a modalità operative smart.

Va da sé che l’indifferibilità dei servizi offerti gioca un ruolo fondamentale nel discorso sulla PA digitale. L’emergenza coronavirus ha, semmai, aperto nuovi spazi di confronto rispetto alla necessità che i servizi ai cittadini siano forniti preferibilmente de visu. In altre parole? Se la ragione che ha impedito a molti enti pubblici di adottare completamente soluzioni per lo smartworking in queste settimane di quarantena sta (anche) nella quantità di uffici che svolgono attività di front office – e per servizi di prima necessità (si pensi alle anagrafi degli enti locali o ai servizi di enti previdenziali e pensionistici) – la lezione che l’emergenza può lasciare ha a che vedere con l’incentivare la fruizione online-first di questi stessi servizi.

servizi PA richieste cittadini

Quali sono i servizi delle PA più richiesti? E con che frequenza? Fonte: Agenda Digitale

È un tema in agenda da tempo e non mancano certo soluzioni utili allo scopo: dal sistema Spid per l’identità digitale all’app IO, che permetterebbe non solo di mettere in comunicazione il cittadino con la pubblica amministrazione ma, anche e soprattutto, di poter usufruire direttamente sullo smartphone dei principali servizi. Se quest’ultima è stata da poco resa disponibile sui principali marketplace e conta ancora, anche per questo, un numero esiguo di enti che offrono servizi al cittadino attraverso le sue funzioni, i numeri di Spid dovrebbero far più riflettere: stando ancora ad Agenda Digitale, le pubbliche amministrazioni attive ad aprile 2020 erano appena 4mila e 200, lo stesso numero di dicembre 2017, e le identità digitali rilasciate appena 6,3 milioni, di cui poco più del 35% a persone con più di sessantacinque anni. Tradotto significa che il digital divide in Italia è ancora tutt’altro che colmato e, anzi, la pandemia di COVID-19 potrà avere l’effetto (indesiderato) di aggravarlo. La più grande lezione da imparare da pubblica amministrazione e coronavirus, così, è che per ogni cittadino in più che non ha accesso a Internet, non ha a disposizione un device tecnologico personale o non ha le competenze digitali giuste per fruire al meglio dei servizi pubblici online non può che allontanarsi l’orizzonte di una pubblica amministrazione solo digitale.

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