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Come raccontare una buona storia: i segreti di Pablo Trincia al Public Speaking & Storytelling 2023

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Fonte: Pagina LinkedIn di Performance Strategies Italia

Dalla curiosità al fact-cheking passando per la dicotomia buoni vs.cattivi: Pablo Trincia ha condiviso con i partecipanti all'evento di Performance Strategies la ricetta per scovare storie (aziendali) buone da raccontare.

Essere curiosi è una delle qualità indispensabili per un buon narratore: è quanto ha ricordato Pablo Trincia a Public Speaking & Storytelling 2023, l’evento di Performance Strategies che si è tenuto a Milano e online lo scorso 26 maggio.

La curiosità aiuta, infatti, chi è alla ricerca di una storia da raccontare a esplorare temi e argomenti a cui mai avrebbe pensato spontaneamente e a «nuotare nella marea umana che ha di fronte» senza «perdersi la meraviglia del mondo», trovando anzi elementi d’interesse – per sé e per i destinatari del racconto – in ogni vicenda.

Proprio l’interesse verso la singola vicenda e i suoi protagonisti è, del resto, secondo l’autore, un altro degli elementi fondamentali per trasformare una semplice storia in una storia che vale la pena raccontare. Ogni storia lo sarebbe in potenza, ma il lavoro del (bravo) narratore consiste nel portare alla luce il punto di vista migliore, quello più inedito o più in linea con il modo di pensare e i valori del pubblico a cui sono indirizzate.

Dall’esperienza di Pablo Trincia, alcuni consigli pratici per trovare storie buone da raccontare

Durante il proprio intervento a Public Speaking & Storytelling 2023 Pablo Trincia non ha mancato, così, di condividere con partecipanti e potenziali storyteller una serie di consigli pratici derivanti dalla propria esperienza, prima di giornalista prima e poi di autore di podcast dal largo seguito in Italia come “Veleno” (sulla vicenda dei cosiddetti diavoli della Bassa Modenese) o “Il dito di Dio” (sul naufragio della nave Concordia al largo dell’isola del Giglio).

L’importanza di svolgere un lavoro di ricerca e approfondimento sulla storia che si intende raccontare è uno dei suoi consigli.
Un simile lavoro, infatti, evita di incappare in errori grossolani, contro cui l’esperto ribadisce peraltro la necessità del fact checking anche se il prodotto finale sarà un racconto fictual e, dunque, che rilegge in chiave narrativa e finzionale dei fatti realmente accaduti. Impedisce, soprattutto, di dare «la verità per scontata. Quasi mai – ha continuato, infatti, Pablo Trincia – le storie sono come ce le immaginiamo prima di uscire di casa», cioè semplici, logiche e capaci di funzionare, anche inteso come capaci di vendere.

Non tenere conto della complessità della maggior parte delle vicende umane può portare, del resto, non solo a «fare male il proprio lavoro, ma anche a fare male agli altri»: dove quegli “altri” sono tanto i protagonisti di quelle vicende, quanto chi ne leggerà o ne ascolterà il racconto.
Raccontare quello del comandante Francesco Schettino nel naufragio della Costa Concordia esclusivamente come il ruolo del cattivo o dell’antagonista – per usare categorie classiche della teoria della narrazione – vorrebbe dire per esempio semplificare eccessivamente una vicenda complessa, che, come spesso accade, non è priva di sfumature intricate, inclusa l’evidenza che lo stesso comandante fosse unanimemente riconosciuto come uno dei comandanti di nave italiani più apprezzati e con più esperienza.

Il dualismo vittima vs. carnefice, in altre parole, non sempre rende giustizia alla storia persino se, come per i podcast più di successo di Pablo Trincia, è una storia true crime: a volte è solo rassicurante e ha una sorta di valore catartico per chi la legge o la ascolta. Il narratore è davvero un bravo narratore se sa «indossare anche l’abito del colpevole», mostrando un punto di vista inedito ma altrettanto vero della storia.

Dai primi racconti orali al podcasting, del resto, le storie sono uno dei modi in cui il cervello umano anticipa circostanze e situazioni diverse e altrettanto diverse possibili soluzioni: è per questo che «nessuno di noi ne può fare a meno». Nemmeno i brand .

Come raccontare (in podcast e non solo) storie aziendali che funzionano

Non è mancato, così, nell’intervento di Pablo Trincia a Public Speaking & Storytelling 2023 di Performance Strategies un po’ di spazio per le storie aziendali e per come si trovano e come si raccontano.

Affidarsi ai creativi è uno dei primi consigli che l’esperto ha voluto condividere con i partecipanti: è l’unico modo per scongiurare l’errore di investire in branded content poco interessanti e che risultano di poco o nessun valore agli occhi del pubblico a cui sono indirizzati.

A volte la storia aziendale non ha, infatti, aspetti così interessanti da riuscire ad arrivare e lasciare un messaggio al pubblico. Meglio in questo caso dare spazio alle storie individuali delle persone all’interno dell’azienda e raccontare, per esempio, la storia del fondatore (come ha fortemente raccomandato anche Kindra Hall in “L’arte dello storytelling”) con tutti i suoi inciampi e le sue false partenze prima di arrivare al successo.

Altra alternativa è trasformare l’azienda, indipendentemente dal settore di riferimento, in una sorta di media company e lasciare cioè che il suo nome sia associato a prodotti culturali (podcast, webserie, eccetera) nuovi, originali, di valore, con molte possibili estensioni diverse e capaci di trasformarsi in – e di fruttare come – delle vere e proprie intellectual property. Se si tratta di podcast possono bastare semplici intro come “questo prodotto è presentato da…” o “una produzione di…” perché l’ascoltatore associ il brand ai propri prodotti culturali preferiti: per la posizione che hanno e ripetendosi sempre uguali, le intro vengono memorizzate con una certa facilità dagli ascoltatori e rendono altrettanto facile la brand recall.

Più la storia è forte, però, e più anche stratagemmi di questo tipo risultano superflui, ha ribadito Pablo Trincia: «se la storia è grande, il nome del brand arriva» automaticamente e quest’ultimo farebbe meglio a lasciarle spazio.

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