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Motivazione e lavoro: come stimolare i propri dipendenti e cosa evitare

Motivazione e lavoro: come stimolare i propri dipendenti e cosa evitare

La motivazione è alla base di ogni attività e comportamento umano e, quindi, anche del lavoro. Cosa fare per aumentarla e cosa invece evitare?

La motivazione – definita in letteratura come la «forza motrice che porta un individuo a comportarsi in un determinato modo al fine di raggiungere uno scopo» (Westen, 2002) – è un aspetto fondamentale da considerare nella vita di ogni individuo. La spinta motivazionale, infatti, induce gli esseri umani ad impegnarsi attivamente in tutte le attività quotidiane, perché nasce da un bisogno – quello di colmare il divario tra la condizione attuale e quella desiderata – che sta alla base del comportamento umano. Si tratta, quindi, di uno stato di insoddisfazione che spinge l’individuo a procurarsi i mezzi necessari per porvi fine o limitarlo.

La motivazione, però, dipende essenzialmente da due elementi:

  • le competenze: ciò che si sa fare;
  • i valori personali: ciò che si sente di voler fare.

Vari esperti hanno provato a fornire una spiegazione adeguata del costrutto motivazionale, ma il più famoso a cimentarsi è lo psicologo Abraham Maslow, che nel 1954 propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una “piramide dei bisogni”, una sorta di organizzazione gerarchica dei bisogni umani.

Motivazione lavorativa: la chiave del successo al lavoro

Alla base della piramide ci sono i bisogni essenziali, quelli fisiologici e legati alla sopravvivenza, mentre al vertice si inseriscono i bisogni più immateriali, quelli sociali, che contribuiscono alla definizione dell’uomo in relazione agli assi psicologici dell’autostima e della sfera relazionale che, in ultima analisi, ne definiscono l’autorealizzazione.

Se i bisogni fondamentali, una volta soddisfatti, tendono a non ripresentarsi, i bisogni sociali e relazionali tendono a ridefinirsi costantemente attraverso nuovi e più ambiziosi obiettivi da raggiungere. Ne consegue che l’insoddisfazione, lavorativa o personale, è un fenomeno molto diffuso che trova una delle sue cause principali nella mancata realizzazione delle proprie potenzialità. Per Maslow, infatti, l’autorealizzazione richiede una serie di caratteristiche quali personalità, competenze sociali e tecniche che definiscono, per l’appunto, la motivazione personale.

La teoria dello psicologo sulla motivazione personale ha avuto delle ripercussioni anche in ambito lavorativo, anche se il suo contributo nella definizione di linee guida e strategie utili a soddisfare intere organizzazioni è ancora evanescente. In questa prospettiva, però, si inserisce una discussione sulla motivazione lavorativa con un’ulteriore importante teoria, quella dei fattori dualimotivazione ed igiene, di Herzberg. Secondo questo autore il compito dell’organizzazione è quello di individuare, stimolare e rendere operativi i fattori motivazionali positivi dell’individuo attraverso il lavoro stesso.

Dalle sue osservazioni emerge, infatti, che vi sono due tipi di fattori che incidono sulla soddisfazione e sull’insoddisfazione lavorativa: i fattori igienici – che riguardano il contesto lavorativo e fanno riferimento, ad esempio, a retribuzione, ambiente, relazione con capo e colleghi – e i fattori motivanti – che riguardano i contenuti intrinseci del lavoro, tra i quali raggiungimento dei risultati, riconoscimento dell’impegno, responsabilità percepita e possibilità di crescita personale –. Secondo l’autore i due fattori sono indipendenti e il fatto che vengano soddisfatti o meno produce un effetto diverso sul comportamento lavorativo del dipendente.

Difatti, l’assenza dei fattori motivanti causa un’assenza di motivazione più che una vera e propria insoddisfazione lavorativa: in altri termini, influenza la percezione di competenza che il dipendente ha del suo lavoro. Al contrario, l’assenza di fattori igienici causa malcontento, perché vi è una percezione negativa del contesto lavorativo e, quindi, quando sono presenti riducono l’insoddisfazione ma non incidono sulla motivazione. Da queste premesse emerge che bisogna lavorare su entrambi gli aspetti per garantire un adeguato livello di autostima, di auto-efficacia, di orientamento al risultato, tutti fattori che insieme garantiscono sia la soddisfazione che la motivazione lavorativa.

Un‘infografica realizzata da Weekdone – e basate su alcune ricerche – fornisce dei suggerimenti pratici per provare ad incrementare la motivazione dei dipendenti al lavoro. Tra i vari aspetti presi in considerazione, però, vi sono anche quelli che possono diminuire drasticamente la motivazione, tra cui una mancanza di sviluppo di carriera, una microgestione rispetto ad una visione di insieme e degli obiettivi poco chiari.

Di seguito alcuni dei motivi principali della mancata soddisfazione e della diminuzione della spinta motivazionale:

  1. fornire delle ricompense inadeguate: non ricompensare proporzionalmente i dipendenti potrebbe motivarli a cambiare lavoro. Difatti il 26% dei lavoratori sostiene che potrebbe lasciare il lavoro attuale per un aumento salariale soltanto del 5%. Per scongiurare questa situazione è consigliabile definire un efficace sistema di ricompense;
  2. creare un ambiente lavorativo “terribile”: la configurazione degli spazi negli uffici troppo ampi o troppo ristretti crea un ambiente sfavorevole alla produttività. In simili circostanze si rileva il 62% in più di permessi per malattia. Per ovviare a ciò, si consiglia di ripensare il layout di ufficio, in modo da renderlo più aperto e stimolante;
  3. mancanza di sviluppo personale: non dare ai dipendenti la possibilità di imparare ed impegnarsi in progetti personali porta ad una diminuzione di motivazione. Per risolvere questo impasse i leader dovrebbero concedere ai dipendenti un corso di formazione piacevole;
  4. collaborazione inefficiente: non permettere ai collaboratori di aver voce in capitolo fa sì che in media il 33% dei lavoratori si senta poco apprezzato, il che va ad incidere sull’autostima ma anche sulla motivazione. Per ovviare a questo problema è consigliabile indagare circa lo stato d’animo dei dipendenti di tanto in tanto;
  5. persone negative: non prestare attenzione alla felicità dei dipendenti porta il 24% di essi ad essere insoddisfatti e a diffondere una certa negatività agli altri collaboratori. Per correggere questa tendenza è auspicabile prendere in considerazione e misurare il grado di felicità dei dipendenti;
  6. paura del fallimento: coltivare una cultura del fallimento sicuramente non è positivo per i dipendenti. È necessario che essi imparino dai propri errori, ma d’altra parte è consigliabile non punire quegli sbagli ingenui per evitare di demoralizzarli e demotivarli;
  7. mancanza di obiettivi chiari: non fissare degli obiettivi e delle priorità contribuisce alla percezione di spreco del tempo lavorativo. In effetti, il 63% degli impiegati ha rivelato che, non sapendo quali fossero le priorità al lavoro, ha provato la sensazione di perdere tempo. Bisognerebbe, quindi, definire degli obiettivi chiari, stabilendo quali risultati si intende raggiungere;
  8. microgestione: sarebbe opportuno consentire ai lavoratori di agire anche su iniziativa. Va bene, infatti, dir loro cosa fare e perché lo si deve fare, ma – a parte le istruzioni di base e la definizione della linea dell’azienda – bisognerebbe evitare di dirgli di continuo ‘come’ farlo. Si potrebbe, quindi, provare a stimolarli attraverso il “processo PPP” (progresso, piano, problemi);
  9. riunioni inutili: evitare tassativamente quelle riunioni che non hanno un preciso scopo e che rischiano di diventare soltanto improduttive perché non si hanno punti all’ordine del giorno;
  10. sprecare il tempo in attività inutili: i lavoratori sono disposti a lavorare per diverse ore al giorno se ritengono, però, che il loro tempo non venga sprecato. Per questo, quindi, è necessario valorizzare il tempo lavorativo attraverso una corretta gestione del tempo ed evitando attività che non hanno alcuna utilità.
Motivazione lavorativa: la chiave del successo al lavoro

Fonte: Weekdone

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