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La Commissione europea ha confermato che Meta e X violano Digital Markets Act e Digital Services Act

commissione europea

Due procedimenti formali d'infrazione erano stati avviati qualche mese fa per accertare se Meta e X rispettassero il pacchetto di norme europee sui servizi digitali: le conclusioni preliminari della Commissione dicono di no.

La Commissione europea ha confermato che Meta e X violano il pacchetto di norme europee sui servizi digitali. Nei giorni scorsi sono state pubblicate, infatti, le conclusioni preliminari dei due procedimenti formali d’infrazione avviati qualche mese fa nei confronti delle piattaforme di Mark Zuckerberg e Elon Musk: conclusioni stando alle quali le stesse non risulterebbero conformi alle previsioni di Digital Markets Act e Digital Services Act.

Le versioni a pagamento e senza pubblicità di Facebook e Instagram violano il Digital Markets Act

Nel caso di Meta a essere sotto accusa è il modello “pay or consent” che, ha sottolineato la Commissione1, di fatto spinge gli utenti ad acconsentire al trattamento combinato dei dati personali pur di poter accedere alla versione tradizionale dei servizi di casa Zuckerberg.

A novembre 2023, a proprio dire per conformarsi alle previsioni della nuova norma europea sui mercati digitali, Meta ha introdotto in Europa delle versioni a pagamento di Facebook e Instagram prive di pubblicità targettizzata.

Già nell’aprire il procedimento formale d’infrazione contro Meta, la Commissione europea fece notare però che offrire come unica alternativa agli utenti il pagamento di una fee mensile per accedere a una versione ad-free di propri servizi violasse i principi del DMA.

All’articolo 5 paragrafo 2 il Digital Markets Act prevede, infatti, che all’utente che abbia negato il consenso al trattamento combinato dei propri dati personali da parte della piattaforma e di servizi terzi debba essere garantito comunque l’accesso a un’alternativa «meno personalizzata ma equivalente»: le versioni a pagamento di Facebook e Instagram non possono essere considerate tali.

Il risultato è che, come la Commissione europea ha fatto notare ora nelle proprie conclusioni preliminari, il modello “pay or consent” di Meta di fatto non permette agli utenti di esercitare liberamente il proprio diritto ad acconsentire alla combinazione dei dati personali.

«Il DMA è qui per ridare agli utenti il potere di decidere come possono essere utilizzati i propri dati e per assicurare che le aziende innovative possano competere allo stesso livello dei giganti del tech per quanto riguarda l’accesso ai dati»,

è stato il commento sulla questione del Commissario europeo per il mercato interno e i servizi, Thierry Breton.

Nel tempo, del resto, aziende come Meta non hanno raggiunto solo una posizione di mercato tale da imporre come standard i propri termini di servizio, ma sono riuscite soprattutto a raccogliere una quantità di dati e informazioni sugli utenti tale da configurare importanti barriere all’ingresso di potenziali competitor nel campo della pubblicità personalizzata.

X viola il Digital Services Act con un design ostico, poca trasparenza e difficoltà nell’accesso ai dati

Il procedimento formale d’infrazione nei confronti di X, primo in assoluto dopo l’approvazione del pacchetto di norme europee sui servizi digitali, è stato avviato invece sulla base di dubbi riguardo alla trasparenza della piattaforma e alle modalità con cui la stessa garantisce accesso ai dati a fini di ricerca soprattutto.

Tre punti, si legge nelle conclusioni preliminari appena pubblicate dalla Commissione2, permettono di dire che X viola le previsioni del Digital Services Act.

Il primo è il sistema delle spunte blu a pagamento che, ormai disponibili appunto a chiunque sottoscriva un abbonamento alla piattaforma, non segnalano più com’era stato per lungo tempo solo profili verificati e ufficiali e possono per questo trarre in inganno gli utenti e condurli a valutazioni sbagliate circa la rilevanza e la veridicità dei contenuti con cui interagiscono.

Il secondo punto problematico è la mancanza di una repository affidabile per quanto riguarda la pubblicità su X: quello implementato dalla piattaforma è, al contrario, un design ostico e poco trasparente che scoraggia dal cercare informazioni riguardo agli annunci pubblicitari che si vedono su X e come sono gestiti e da parte di chi.

In maniera simile X renderebbe volutamente difficile per i ricercatori accedere in maniera indipendente ai dati pubblici riguardanti la piattaforma, per non parlare di quanto succede con le API che spesso sono accessibili solo a pagamento anche per i progetti di ricerca.

Tutte queste ragioni hanno portato la Commissione europea a concludere che «X non è conforme con il DSA per quanto riguarda l’area della trasparenza […] che è l’esatto centro del DSA», come ha commentato Margrethe Vestager, executive vice-president di A Europe Fit for the Digital Age.

Cosa succede ora che la Commissione europea ha confermato che Meta e X violano le norme europee sui servizi digitali

Informare che Meta e X violano il pacchetto di norme europee sui servizi digitali, chiarisce la Commissione europea nelle note stampa e nei documenti condivisi in questi giorni, è uno degli step obbligati che porteranno entro dodici mesi alla chiusura dei procedimenti formali d’infrazione precedentemente avviati e non ne pregiudica in alcun modo i risultati.

Da questo momento, infatti, le piattaforme e i loro gestori hanno la possibilità di difendersi esaminando la documentazione allegata e rispondendo per iscritto alle conclusioni preliminari.

Solo se anche i passaggi successivi confermeranno violazioni di quanto previsto da DMA e DSA, le piattaforme andranno incontro a sanzioni che possono arrivare nel caso di Meta al 10% del fatturato globale e nel caso di X al 6%.

La Commissione potrebbe obbligare, soprattutto, Meta e X a trovare soluzioni per conformarsi davvero alle norme europee sui servizi e i mercati digitali.

Note
  1. Commissione europea
  2. Commissione europea

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