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Lavoro da remoto e coronavirus: come stanno reagendo le aziende all'emergenza?

lavoro da remoto e coronavirus

Smart break, insieme ad Inside Marketing, attraverso un'indagine sulle aziende italiane, indaga su lavoro da remoto e coronavirus.

Data l’attuale emergenza, per quanto riguarda il mondo aziendale viene quasi spontaneo il collegamento tra lavoro da remoto e coronavirus, poiché la necessità di ridurre al minimo il contatto sociale ha avuto un chiaro impatto sul mondo del lavoro e sulle imprese, a livello globale. Si tratta di un periodo senza precedenti e quindi le imprese devono imparare a gestire delle problematiche mai affrontate prima, spesso sfruttando dei mezzi e delle soluzioni mai considerate finora. In che modo, allora, le aziende italiane stanno affrontando le nuove sfide dettate dalla diffusione del COVID-19? E come i lavoratori stanno vivendo questi cambiamenti?

Lavoro da remoto e coronavirus: Cosa stanno facendo (o meno) le aziende in italia?

Uno dei fattori indispensabili per dare ai lavoratori la possibilità di svolgere il proprio lavoro da remoto è fornire loro tutti gli strumenti necessari. A questo proposito, secondo l’indagine condotta da Smart Break su lavoro da remoto e coronavirus, con la partnership del nostro giornale, il 90% delle imprese ha fornito la strumentazione necessaria (PC, cellulare o altro) ai propri lavoratori, in modo tale da affrontare, in maniera efficiente, questo periodo di quarantena. I dati in questione sono frutto di 300 questionari compilati da persone inserite nel mondo del lavoro, appartenenti ad aziende italiane di differenti dimensioni.

Estratto dell’infografica relativa al sondaggio di Bitrix24 su lavoro da remoto e coronavirus. Fonte: Bitrix24

Un sondaggio condotto da Bitrix24, basato su 9578 risposte e sull’analisi di 700 000 account Bitrix24 attivi dal 21 al 28 marzo, ha riscontrato invece che in Italia il 49% delle aziende è pronto a investire in software e attrezzature aggiuntive per il lavoro a distanza: un numero che si discosta dal 61% relativo alle aziende in Spagna, ma che sarebbe superiore a quello di aziende tedesche e polacche (entrambi i paesi con una percentuale pari al 46%).

Ancora sulla volontà delle aziende di investire nel lavoro da remoto, numeri che si avvicinano di più a quelli di Smart Break emergono dalla ricerca condotta da InfoJobs, a marzo 2020, su un campione di 189 aziende e 1149 candidati: i risultati hanno rivelato che il 72% delle aziende ha messo rapidamente a disposizione dei collaboratori i mezzi e gli strumenti per poter proseguire con il lavoro da remoto.

È possibile affermare che, nonostante una riduzione della liquidità, si registra una tendenza da parte di molte aziende italiane a investire nella modalità di lavoro da casa, per poter fronteggiare questa situazione di emergenza globale.

In ogni caso, se da un lato questa dimensione risulta indispensabile ai fini della produttività, ci sono invece altri aspetti che le aziende dovrebbero tenere in considerazione, specialmente in un periodo in cui l’home working è passato dall’essere una scelta aziendale o un’alternativa al lavoro in sede all’essere l’unico modo per garantire la continuità delle attività lavorative.

“lavoro da remoto forzato”: quale supporto per i dipendenti?

È importante a questo punto precisare che ciò di cui si parla in questo momento è lavoro da remoto (o di home working), poiché i dipendenti devono svolgere le proprie mansioni a casa, a differenza di quanto avviene nel caso dello smart working, che offre la possibilità di lavorare potenzialmente in qualunque luogo (comprese casa e azienda, ma non solo). Come messo in evidenza dalla ricerca Smart Break, condotta in collaborazione con la nostra testata, questa situazione di «lavoro da remoto forzato», che ha preso alla sprovvista aziende e lavoratori, comporta alcune sfide non solo per imprese ma anche per i dipendenti, soprattutto per quelli che si sono ritrovati a lavorare da casa per la prima volta.

In questo senso, alcuni di loro potrebbero fare fatica a gestire il proprio lavoro da remoto, così come i rapporti con colleghi e dirigenti con cui sono abituati a lavorare da vicino.

Non a caso, secondo la ricerca il 65% degli intervistati afferma che l’azienda in cui lavora potrebbe fornire maggiore formazione o coaching sull’ottimizzazione della produttività nel lavoro da casa. Inoltre, il 65% dei lavoratori dichiara di non aver ricevuto delle linee guida da parte dell’azienda per la gestione delle comunicazioni tra colleghi, con il 25% che dice di aver riscontrato delle difficoltà da questo punto di vista.

è necessario un sostegno psicologico in questo momento di crisi?

Un’altra difficoltà per i lavoratori può essere associata allo stravolgimento delle abitudini quotidiane e alla necessità di rimanere in casa per tanto tempo, un cambiamento che può aumentare i livelli di stress e di instabilità emotiva dei cittadini. Secondo la ricerca di Smart Break, infatti, il 70% delle persone che attualmente lavorano da remoto ammette di provare dei tipi di disagio collegati all’ansia per l’incertezza della situazione e all’isolamento (nel 18% dei casi). Forse proprio per questa ragione il 35% degli intervistati crede che l’azienda dovrebbe fornire sostegno psicologico in una situazione come quella attualmente vissuta.

Inoltre, come menzionato nell’indagine di InfoJobs, anche la mancanza della socialità e del confronto quotidiano con i colleghi nel luogo di lavoro finisce per essere un punto negativo in questo periodo di lockdown, come sottolineato dal 27% dei lavoratori intervistati.

L’indagine di InfoJobs mette anche in evidenza diversi aspetti positivi, riportati dai dipendenti, in questa situazione straordinaria di lavoro da remoto provocata dalla diffusione del virus: il 38% si ritiene fortunato di poter evitare spostamenti in questo periodo; il 27% apprezza le possibilità offerte dalla tecnologia, che di fatto consentono di continuare a lavorare come prima; soltanto il 7% dice di essere meno produttivo.

Il 17% dei lavoratori è inoltre contento di poter gestire insieme esigenze personali e lavorative (una percentuale che sale al 30% per le donne con figli) e il 49% menziona il tempo risparmiato per gli spostamenti da casa all’ufficio e la flessibilità degli orari (nel 19,5% dei casi).

il labile confine tra vita privata e vita professionale ai tempi del covid-19

Infine, il 76% degli intervistati ha affermato che l’azienda in cui lavora non si è mai occupata del benessere digitale dei propri dipendenti: un dato, questo, emerso dalla ricerca di Smart Break che ci potrebbe far riflettere sull’importanza di fare un uso adeguato dei mezzi digitali, specialmente in un momento in cui tante persone si ritrovano a sfruttarli più che mai, sia per ragioni personali che lavorative.

Anche se in Italia ci sono attualmente molte realtà impegnate da questo punto di vista, questa è senza dubbio una preoccupazione che viene amplificata dalle attuali misure di contenimento del contagio imposte dai governi, dall’aumento improvviso dell’home working e dal fatto che le videochiamate, possibili grazie a piattaforme come Zoom o GoToMeet, utili a facilitare la comunicazione tra dipendenti,  non possono essere perfettamente equiparate alla comunicazione faccia a faccia.

La difficoltà nel fissare dei limiti e nel riuscire finalmente a disconnettersi (almeno dalle mansioni lavorative) può rappresentare una sfida per molti lavoratori; un’indagine condotta negli Stati Uniti ha rivelato come i dipendenti che ora si ritrovano a lavorare da casa affermino di lavorare fino a tre ore in più rispetto a una situazione normale.

Di conseguenza, nasce la necessità (ora più che mai) di cercare di trovare un sano equilibrio tra vita privata e professionale: qualcosa di prezioso che potrebbe rivelarsi più difficile da raggiungere quando non c’è una separazione tra “luogo di lavoro” e “casa“, ma che andrebbe comunque ricercata dai dipendenti e che comunque innanzitutto dovrebbe essere promossa dai datori di lavoro.

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