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Cosa c'è da sapere davvero su Jonathan Galindo e l'ultima challenge social che istigherebbe minori al suicidio

jonathan galindo challenge

Riguardo al suicidio di un undicenne napoletano, i media hanno avanzato l'ipotesi che c'entri Jonathan Galindo e una pericolosa challenge social.

Chi è Jonathan Galindo e cosa c’entra davvero con il suicidio di un undicenne a Napoli? La maggior parte delle testate italiane nelle scorse ore ha ricollegato il fatto di cronaca a «un folle gioco social» (così titola Il Messaggero), uno «sconvolgente […] mostro» (Libero Quotidiano) che «spinge i giovani all’autolesionismo» (Huffington Post) e fatto crescere – meglio, si vedrà più avanti, ricrescere – l’attenzione su una presunta challenge pericolosa virale tra i giovanissimi.

significato jonathan galindo ricerche google

Dal pomeriggio del 30 settembre sono cresciute vertiginosamente in Italia le ricerche su Google legate all’espressione “Jonathan Galindo”. Qualche ora prima si era suicidato a Napoli un bambino di 11 anni e un’ipotesi è che lo abbia fatto per partecipare a una challenge sui social. Fonte: Google Trends

Un undicenne si suicida a Napoli e spuntano le ipotesi dell’ennesima challenge virale sui social

Naturalmente le indagini sono ancora in corso: cosa si sa sul bambino napoletano che si è gettato dal decimo piano del palazzo in cui abitava con la famiglia è al momento (2 ottobre 2020) che gli inquirenti hanno chiesto una perizia su smartphone e tablet in suo possesso. Nessuna conferma, però, riguardo al presunto messaggio inviato alla madre prima di suicidarsi, riportato da tutti i media, in cui l’undicenne farebbe accenno a l’uomo nero, l’uomo col cappello per seguire il quale – o inseguito dal quale, non è ben chiaro – si sarebbe buttato dal balcone. Eppure sono state proprio le presunte parole di commiato alla famiglia a portare molti a insinuare che il gesto possa essere stato l’ultima prova estrema della challenge di Jonathan Galindo: se così fosse, la notizia di reato potrebbe essere quella di istigazione al suicidio. Non sarebbe, tra l’altro, la prima volta che succede: già ai tempi della Blue Whale, e prima ancora della #MomoChallenge, gli inquirenti di molti paesi dovettero fare i conti con l’ipotesi che ci fossero utenti – adulti in genere e con profili fake – che adescavano in Rete minori e li coinvolgevano in giochi all’apparenza innocui, ma che in realtà li istigavano progressivamente al suicidio.

La challenge della Blue Whale si dimostrò allora palesemente una bufala, frutto perlopiù della psicosi che si diffuse tra genitori e parenti di adolescenti e preadolescenti alle prime notizie riguardanti la stessa. Jonathan Galindo esiste davvero, invece, e ci sono utenti che usano questo nick per circuirne di più giovani o più vulnerabili e abusare in qualche modo di loro?

Cosa o chi c’è dietro il fenomeno Jonathan Galindo e come è diventato virale

È il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze (CICAP) a spiegare in un lungo post com’è nata la storia del Pippo umano che spaventa la Rete. Tra il 2012 e il 2013 un videomaker americano, piuttosto popolare su blog e forum di settore, aveva creato un avatar dalle sembianze simili a quelle di Pippo, il personaggio della Disney, ma decisamente più umanizzate e per certi versi spaventose. Il personaggio era nato appositamente per soddisfare un proprio «bizzarro piacere personale» e, in effetti, era stato utilizzato dal videomaker in una serie di video sessualmente espliciti ancora rintracciabili in Rete. Qualche anno dopo – il fenomeno Jonathan Galindo in qualche paese esplode già nel 2017 – qualcuno si impossessa di quell’avatar, lo usa come immagine di profilo di numerosi account su diversi social network e per dar vita a una delle tante leggende metropolitane che circolano online: Jonathan Galindo è ora un pedofilo che usa la Rete per adescare i minori, ora uno stalker che ce l’ha soprattutto con le donne giovani e, comunque, sempre un individuo strano, secondo qualche versione anche affetto da deformità fisiche, che, una volta che contatta qualcuno in chat, gli comincia a inviare contenuti inquietanti, come appunto istruzioni per sfide sempre di maggiore difficoltà da portare a termine. Ogni volta che rimbalza dalla bocca di un utente a quella di un altro, infatti, la storia di Jonathan Galindo si arricchisce di nuovi particolari inquietanti o ne perde alcuni, sostituiti da altri che possono apparire se possibile ancora più spaventosi alle orecchie del destinatario: creepypasta, Jonathan Galindo è quello che in gergo chi frequenta gli ambienti digitali definisce così, sottintendendo l’azione di copiare e incollare (da “paste”, appunto) sempre nuove informazioni a una leggenda metropolitana di partenza. Almeno fino a quando, stando ancora a quanto racconta il CICAP, sulle reti sociali cominciano a spopolare un gran numero di account con la foto profilo del Pippo umano col cappello e quel nickname – o delle sue varianti, in genere con numeri e lettere, proprio come si è costretti a fare quando ci si iscrive a un servizio digitale ma il nome che si intende usare è già occupato – che qualche utente usa per stalkerarne altri, chiedere o inviare foto di nudo, minacciare azione di revenge porn o provare a estorcere informazioni e dati personali.

Persino il videomaker che in origine aveva creato l’avatar si accorge che «questa follia di Jonathan Galindo» sta «terrorizzando tantissimi ragazzi facilmente impressionabili» e dal proprio profilo Twitter (qui usa, fra i tanti, il nickname @DuskySamCat) li invita a non interagire con personaggi simili e non lasciare che, per nessuna ragione, «entrino nella vostra vita». È il 3 luglio 2020.

In quella settimana la psicosi per il fenomeno virale Jonathan Galindo monta anche in Italia (e lo dimostra, peraltro, anche l’impennata di ricerche su Google).

jonathan galindo virale in Italia

La prima ondata di interesse per il fenomeno social Jonathan Galindo c’era stata in Italia già a inizio luglio 2020, come dimostrano sia ancora le ricerche su Google legate al tema e sia alcune segnalazioni alle forze dell’ordine. Fonte: Google Trends

Nel nostro Paese sembra affermarsi in particolar modo la versione della leggenda metropolitana secondo cui con il nickname di Jonathan Galindo si identifichi una rete di utenti che contatta minori e li coinvolge in un cerchio perverso di sfide, di rituali di iniziazione quasi, progressivamente sempre più pericolosi da compiere, tra cui procurarsi tagli e lesioni per esempio. E in effetti non tardano di molto neanche le prime segnalazioni a forze dell’ordine e Polizia postale su Jonathan Galindo: sono geograficamente concentrate nelle Marche – ad Ancona ma, secondo Open, anche a Jesi e Falconara – e riguardano tutte soli tentativi di contatto. Tanto che in quei giorni la Polizia si convince a condividere su Facebook una sorta di vademecum per genitori e bambini su come comportarsi davanti a challenge sui social pericolose come quella di questo Pippo umano (lo fa con un post immediatamente cancellato, ma ancora rintracciabile in una condivisione dalla Pagina ufficiale della Protezione Civile del Salento, tra le altre).

Quelle sfide suicide che raccontano del cattivo rapporto di grandi e piccini con la Rete

Anche ora, mentre quella dell’istigazione al suicidio è ancora solo un’ipotesi da confermare per chi indaga sulla morte dell’undicenne di Napoli, non mancano personaggi pubblici che invocano «tolleranza zero» verso fenomeni digitali pericolosi come questi.

⭕ IL PICCOLO DI NAPOLI È IL FIGLIO DI TUTTI NOI! TOLLERANZA ZERO E PENE ESEMPLARI PER CHI ISTIGA AL SUICIDIO,…

Posted by Francesco Boccia on Wednesday, September 30, 2020

Queste le parole usate su Facebook dal ministro Boccia che, nello stesso post, parla di educazione digitale e di necessità che si «insegni ai bambini fin da piccoli a comprendere e utilizzare il web». Temi calzanti, certo, e che per qualche verso colgono il cuore del complesso discorso su minori e web: quelli che ci ostiniamo a chiamare “nativi digitali“, infatti, è possibile che sappiano alla perfezione come creare un profilo su TikTok e cominciare a postare video in lip sync o abbelliti da filtri e sticker ma che manchino totalmente (o quasi) di soft skill per interpretare correttamente quello che avviene negli ambienti digitali e l’impatto che può avere sulla propria vita reale, di tutti i giorni. Da qui gli appelli degli addetti ai lavori ai genitori di evitare lo sharenting e l’esposizione eccessiva o precoce dei minori – e dei loro dati, della loro privacy – ai servizi digitali.

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Di fronte alla morte per suicidio di un bambino di undici anni, però, è probabile che l’ipotesi di un folle gioco virtuale sia una sorta di rasoio di Occam, l’ipotesi più semplice e per certi versi più rassicurante, o meno capace almeno di mettere in crisi alcune grandi narrazioni dei nostri tempi come la scuola o la famiglia. I suicidi infantili parlano sempre, infatti, di mancanze e fallimenti condivisi – dall’individuo, dalla famiglia, dal sistema Paese – anche nell’ipotesi davvero remota in cui siano legati a una challenge che spopola sui social. Remota perché, se non bastasse la ricostruzione di com’è nato il fenomeno Jonathan Galindo per convincersi che si tratti di poco più che una fake news , si potrebbe provare a fare una rapida ricerca sui principali social network. A una prova empirica su TikTok, uno dei primi social su cui è stato puntato il dito, a oggi (2 ottobre 2020) non ci sono utenti – né contenuti – associati al nome: se si usa la barra di ricerca per cercare “Jonathan Galindo” compare, piuttosto, la notifica preconfezionata per i contenuti che violano linee guida e policy della piattaforma, segno che per «garantire un’esperienza sicura e positiva» ai propri utenti da TikTok potrebbero essere già intervenuti a rimuoverne di sospetti.

jonathan galindo su tiktok

Su TikTok non ci sono al momento (al 2 ottobre 2020) utenti o contenuti che corrispondano alla ricerca “Jonathan Galindo”: la piattaforma potrebbe averli eliminati perché contrari alle proprie policy. Fonte: TikTok

Su Instagram ci sono effettivamente decine di account associabili al nickname, ma appaiono subito come account cloni uno dell’altro o evidentemente fake – mancando in non pochi casi persino di immagine di profilo – quando non addirittura come account di meme ironici sul fenomeno.

jonathan galindo su instagram

Su Instagram ci sono decine di account che usano il nick @JonathanGalindo o sue varianti o l’avatar del Pippo umano con il cappello, ma non pochi sono subito riconoscibili come account fake. Fonte: Instagram

Un’analisi pubblicata da Il Riformista sottolineerebbe che anche in altri ambienti digitali, come Twitter o gruppi e canali dei principali servizi di messaggistica istantanea, gli utenti che usano l’identità di Galindo sono poco numerosi e soprattutto con un seguito e delle interazioni piuttosto limitati. Non sembra esserci, insomma, non al momento almeno, alcuna emergenza Jonathan Galindo né a Napoli – nonostante Il Mattino abbia annunciato lo scoop di altri bambini vicini all’undicenne suicida contattati in chat da “l’uomo nero” – e né nel resto d’Italia. Sensazionalismo e altri bias del giornalismo a parte, insomma, l’occasione potrebbe essere quella giusta per cominciare a parlare di – e cercare di prevenire – fenomeni come l’istigazione al suicidio online, il grooming , il revenge porn, il cyberstalking o il cyberbullismo non tanto come pericoli specifici che vengono dalla Rete, ma, se è vero che tutti passiamo ormai gran parte della nostra vita onlife, come frattali di rischi e minacce che possono arrivare da chiunque, in qualsiasi momento, dentro e fuori dagli ambienti digitali.

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