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Crowdfunding: cos'è e come funziona

Significato di Crowdfunding

crowdfunding Il Crowdfunding è una pratica che permette di sostenere un progetto o un’iniziativa economica, sociale, culturale raccogliendo piccole somme di denaro da una moltitudine di contributori e, per lo più, facendo affidamento sugli strumenti offerti dalla Rete.

Come si fa il crowdfunding?

Come il crowdsourcing , questa speciale forma di raccolta fondi online fa leva sul desiderio della folla (è questa, infatti, la traduzione più comune dell’inglese “crowd” da cui i due termini derivano) di utenti Internet di sentirsi parte attiva di progetti e iniziative collettive, specie se la partecipazione richiesta è a basso impatto, come lo sono appunto generalmente le somme con cui il singolo partecipante di una campagna di crowdfunding è invitato a contribuire.

Per quanto tipica degli ambienti digitali che, oltre a sdoganarla anche verso un pubblico più generalista hanno fornito gli strumenti logistici e organizzativi in grado di assicurare risultati migliori, la pratica del crowdfunding è più vecchia della Rete. L’editoria e la musica indipendente, solo per fare due esempi, hanno da sempre sfruttato le donazioni spontanee e volontarie della rete di fan e appassionati di un genere, di una saga, ecc. per assicurarsi le produzioni.

Quanti tipi di crowdfunding esistono?

Per tornare all’accezione più moderna dell’espressione, comunque, l’abbondante letteratura in merito distingue oggi diversi tipi di campagne di crowdfunding. Sarebbero almeno sei ma, in qualche caso, la differenza tra una forma e l’altra è tutt’altro che netta. Per questo gli esperti sembrano essere più concordi nel fare una macro-distinzione almeno tra il cosiddetto reward-based crowdfunding, ossia il crowdfunding più tradizionale, e l’ equity crowdfunding .

Il reward-based crowdfunding

Nel primo caso, quello del reward-based crowdfunding, si tratta di un sistema – molto simile almeno nell’essenza alle semplici donazioni – in base al quale il singolo può contribuire spontaneamente e nella misura in cui desidera alla realizzazione finanziaria di un progetto. Studi e best practice sulle campagne di crowdfunding di questo tipo hanno suggerito che stabilire un set crescente di cifre per le possibili donazioni tra le quali l’utente può scegliere aiuta al raggiungimento dell’obiettivo finale, più di quanto lo faccia lasciare il sostenitore libero di donare qualsiasi ammontare di denaro. Allo stesso modo, anche prevedere dei piccoli premi per chi partecipa alla campagna di crowdfunding può risultare d’appeal: un ringraziamento personalizzato sul sito o sui canali social ufficiali del progetto, gadget pensati ad hoc o una versione speciale ed esclusiva del prodotto finanziato sono piccole gratificazioni che possono confermare i sostenitori nella loro decisione di aderire alla causa.

Altre ricerche sembrano aver sottolineato il ruolo importante che giocano gli effetti di rete anche quando si tratta di dare sostegno economico a un progetto: se i propri amici, le proprie cerchie, le community di cui si fa parte stanno partecipando a una campagna di crowdfunding si avrà una maggiore propensione a farlo anche in prima persona, non tanto in virtù della viralità ottenuta da questa, quanto in virtù di un certo senso e bisogno di appartenenza. Non è un caso, del resto, che i primi sostenitori delle operazioni di crowdfunding siano spesso persone che hanno un legame diretto con i creatori della campagna o dell’idea che vi sta alla base. E anche per le raccolte fondi online sembrerebbe valere un principio d’imitazione: più una campagna ha sostenitori e più è in grado di attirarne di nuovi.

L’equity crowdfunding

Diversa è, invece, la filosofia dell’equity crowdfunding che ha un’applicazione per lo più aziendale e che è regolamentato da normative ad hoc diverse da paese a paese.

Anche in questo caso è un finanziamento diretto, da parte dei sostenitori, all’attività di business. In cambio di questo finanziamento, però, gli stessi sostenitori ricevono un titolo di partecipazione aziendale e i diritti (patrimoniali, amministrativi) che ne conseguono.

crowdfunding tipologie

Vantaggi e rischi di una campagna di crowdfunding

Già così dovrebbe essere chiaro, insomma, che gli attori coinvolti quando si parla di crowdfunding sono tre: il responsabile del progetto, che può essere un singolo, un soggetto del no profit o un’azienda, specie se di piccole e medie dimensioni o ancora in fase di startup; chi fa la donazione; la piattaforma su cui è gestita la campagna di crowdfunding.

I vantaggi, come sottolinea la consistente letteratura in materia, riguardano direttamente ciascuno di questi soggetti.

Per uno sviluppatore, che abbia un’idea di business e voglia concretizzarla, o uno startupper i plus sono ovviamente, in primis, di tipo economico-finanziario. Il crowdfunding, infatti, fa sì che non sia necessario ricorrere a fondi d’investimento, programmi speciali a supporto delle imprese nascenti, ecc.: tutte misure di difficile accessibilità e per cui sono indispensabili forti forme di garanzia. La semplificazione economica, però, non è il solo vantaggio che si può trarre dalla raccolta di fondi online: quando si chiede a qualcuno di sostenere finanziariamente un progetto, e ciò è particolarmente evidente quando si tratta dello sviluppo di nuovi prodotti, non si sta facendo altro che testare l’esistenza di una domanda, di un mercato che attribuisca a quel progetto un certo valore economico e per cui abbia una certa disponibilità a pagare. C’è di più: in qualche caso l’ideatore o lo startupper possono ricevere dalla community di investitori feedback che riguardano direttamente la natura del progetto o consigli e insight per migliorarlo e renderlo più spendibile e vicino alle esigenze reali del mercato.

Come comunicare bene una campagna di crowdfunding

Senza contare che, in non poche occasioni e se comunicate bene, le campagne di crowdfunding possono attirare l’attenzione dei media sul progetto in questione, dargli grande visibilità e in un circolo virtuoso attrarre potenziali stakeholder .

Gli esperti della materia, del resto, sembrano concordi nel sostenere che una buona strategia di comunicazione è essenziale alla riuscita stessa della campagna. Bisogna riuscire a «raccontare una storia nel modo giusto», sottolineava Alessandro Maria Lerro dell’European Equity Crowdfunding Association al SMMday 2015, e «spiegare bene cosa si intende fare, in modo che sia comprensibile», specie quando il progetto riguarda un campo tecnico e altamente specializzato e il rischio è che anche se «è il più bello del mondo, non venga finanziato perché non riesce ad arrivare ai potenziali investitori». Raccontare una campagna di crowdfunding, insomma, significa creare una vera e propria connessione emotiva con i potenziali investitori e giocare di engagement con gli stakeholder. L’errore da evitare assolutamente è interrompere l’attività di comunicazione una volta che si sia raggiunto l’obiettivo e cioè sia stata raccolta la somma prefissata: chi ha contribuito alla campagna di crowdfunding infatti cerca feedback, desidera aver narrati i passi avanti dal progetto ed essere gratificato per lo sforzo compiuto.

Per tornare ai vantaggi degli investitori, comunque, sono più evidenti nel caso dell’equity crowdfunding: la prospettiva dei dividendi una volta superata lo soglia del break even si combina, infatti, con una relativa semplicità di questa forma d’investimento rispetto alle altre e al suo risultare nel complesso meno rischiosa. Anche nelle altre forme di crowdfunding ci sono, però, dei vantaggi considerevoli per gli investitori: le ricompense previste a fronte delle donazioni, di cui già si è detto, sono senza dubbio tra questi ma, su un piano decisamente più astratto, contano la possibilità di sentirsi parte di un progetto collettivo e il forte legame con il brand che inevitabilmente si viene a creare.

Che rischi si devono prendere in considerazione, invece, prima di dar vita a una campagna di crowdfunding? Il più facile da immaginare è il suo fallimento: i dati sono controversi a proposito, ma ci sono vari esempi celebri di raccolte fondi online che non sono andate a buon fine e il (basso) tasso di fallimento delle campagne è uno di quei fattori che potrebbe far pendere la scelta su una piattaforma per il crowdfunding, rispetto a un’altra.

Intimamente legato a questo c’è, ovviamente, un rischio reputazionale: potrebbe risultare particolarmente ostico trovare finanziamenti o investitori nelle forme più tradizionali, infatti, dopo aver visto fallita una campagna di crowdfunding e ciò può implicare il dover rivedere l’idea o il progetto di business in questione, se non il proprio stesso brand (personale, aziendale, ecc.).

Nel caso in cui la campagna di crowdfunding sia mirata alla realizzazione e all’immissione nel mercato di un prodotto nuovo, comunque, potrebbe esserci anche un rischio legato alla sicurezza aziendale: spesso infatti vengono condivisi con chi partecipa alla campagna dettagli tecnici o prototipi del nuovo prodotto e, se non ci si è dotati delle giuste misure di sicurezza, si rischia appunto che anche i competitor possano avvantaggiarsi di informazioni altamente strategiche come queste.

Decisamente inferiori sono invece i rischi per chi investe in un progetto o in una campagna di crowdfunding data la natura, spesso irrisoria, dell’investimento. In alcuni casi tra l’altro, a seconda di come è stata strutturata la campagna, può essere prevista la restituzione per intero o parziale della somma donata in caso di fallimento della campagna stessa.

Piattaforme crowdfunding: come scegliere quella adatta

In questo senso molto dipende dalla piattaforma di crowdfunding che si decide di utilizzare. Già nel 2012, quando ancora le raccolte fondi online non godevano della popolarità che hanno oggi, esistevano circa 450 piattaforme diverse e, tre anni dopo, questo numero era arrivato a 2000. È facile capire, in una prospettiva simile, perché scegliere la piattaforma giusta potrebbe non risultare semplice, tanto più se si considera che è una scelta dalla quale può dipendere il successo stesso della propria campagna di crowdfunding.

Il primo grande discrimine da fare è tra le piattaforme di crowdfunding generaliste, e cioè che accolgono al loro interno progetti inerenti a qualsiasi ambito, e le piattaforme crowdfunding verticali che sono, invece, decisamente più settoriali. Le prime hanno tra i principali vantaggi la possibilità di rivolgersi a un pubblico più ampio, tra cui dovrebbe risultare più semplice intercettare possibili investitori. Nel caso delle piattaforme specializzate in singoli ambiti – e ce ne sono diverse, che riguardano per esempio le arti o i prodotti di design e i progetti performativi – uno dei plus più evidenti ha a che vedere con la possibilità di rivolgersi a un pubblico decisamente più selezionato e, per questo, anche più sensibile al tema in questione.

Ci sono ovviamente altri fattori da considerare nella scelta della piattaforma di crowdfunding, soprattutto se si tiene conto che il suo primo compito è quello di facilitare da un punto di vista logistico e organizzativo l’incontro tra imprenditori e chiunque abbia un’idea e voglia realizzarla e possibili finanziatori. La facilità con cui si riesce a impostare una campagna, la possibilità di godere del supporto del team della piattaforma per farlo, la messa a disposizione di canali dedicati attraverso cui pubblicizzare la propria campagna, per esempio, possono rivelarsi fondamentali nella scelta. Come lo sono, ovviamente, anche le garanzie da un punto di vista economico.

La maggior parte delle piattaforme, infatti, richiede per esempio il pagamento di una fee a fronte della somma di denaro raccolta online e attraverso le donazioni: la natura e la consistenza di questa fee incide sul risultato finale e sfruttabile nel concreto della campagna e non può non essere una discriminante rilevante nella scelta della piattaforma. Andrebbero valutate, poi, questioni che riguardano le tempistiche – la maggior parte delle piattaforme, infatti, impone di fissare una scadenza massima per la campagna di crowdfunding – o le politiche di refunding, in caso in cui l’obiettivo finale venga mancato: non tutte le piattaforme, infatti, permettono di restituire indietro la somma donata.

Più in generale, non ci si dovrebbe dimenticare che accanto ai big del crowdfunding come Kickstarter ci sono anche piattaforme italiane di crowdfunding (Eppela, CrowdFundMe, ecc.).

Esempi di crowdfunding

Non c’è, invece, un settore che più degli altri sembra predisposto alla riuscita delle campagne di crowdfunding. Operazioni di questo tipo sono state condotte in ambito politico – addirittura la prima campagna elettorale di Obama potrebbe essere considerata in questo senso, almeno in parte, una campagna di raccolta fondi – e filantropico. Come già si accennava, il mondo delle arti è stato forse un precursore del finanziamento dal basso, soprattutto di opere che non riescono a emergere in un contesto di produzione mainstream. Spesso anche il mondo scientifico e della ricerca in campo medico ha sfruttato il crowdfunding per poter portare avanti studi o ricerche che altrimenti avrebbero stentato a trovare finanziamenti.

E c’è una lunga lista di prodotti nuovi, come gadget tecnologici e non solo, che non avrebbero mai trovato luce se non fosse stato per una raccolta fondi online: anche il crowdfunding, in questo senso, sembra basarsi sul mantra che il web non è nient’altro che un catalogo completo dei più folli interessi umani. Una delle campagne di crowdfunding più curiose – e famose allo stesso tempo – è quella grazie a cui vennero raccolti su Kirckstarter oltre 55mila dollari per la realizzazione di un’insalata di patate (la soglia fissata era di dieci dollari, ma la campagna diventò tanto virale da raggiungere un totale decisamente superiore).

A proposito di campagne curiose non si può menzionare però la “Greek Bailout Fund“, organizzata su Indiegogo su iniziativa di un giovane newyorkese per tentare di evitare la Grexit: la partecipazione fu tanta che in pochi giorni furono raccolti più di 1,9 milioni di euro, quanto serviva per risanare in parte il debito greco o comunque scongiurare il ritiro del Paese della zona euro; come in ogni campagna di crowdfunding che si rispetti furono previste ricompense proporzionali alla cifra donata (una cartolina di Tsipras per chi donava tre euro, un’insalata greca take away per una donazione da sei, una bottiglia di Uzo per una da dieci, una di ottimo vino greco per una da 25 e via di questo passo) ma si trattò ovviamente di una provocazione, oltre che di un modo tutto sui generis per fare marketing territoriale e promuovere le tipicità del posto, mirata a sottolineare come spesso partecipare ai destini di un Paese costa al cittadino davvero meno di una pinta di birra.

crowdfunding contro grexit

“Greek Bailout Fund” si chiamava la campagna di crowdfunding su Indiegogo per salvare la Grecia dalla Grexit.

Interessante è notare, infine, come anche il giornalismo abbia sfruttato il crowdfunding, specie in un contesto che è quello di sempre meno budget a disposizione delle redazioni e dei soggetti che operano nel campo da freelance, per coprire storie d’approfondimento o d’indagine. Fino al 2015 esisteva addirittura una piattaforma ad hoc per il crowdfunding a sostegno di progetti giornalisti (Spot.us) che permetteva agli utenti iscritti di selezionare, tra le diverse proposte, i lavori che ritenevano più validi e sostenerli finanziariamente. Nel caso del giornalismo soprattutto, il confine tra crowdfunding e crowdsourcing sembra ancora più labile, dal momento che chiedere a un utente di sostenere la propria storia è come chiedergli il suo grado di interesse rispetto a questa e, in una certa misura, stimolare una partecipazione attiva che non può non giovare proprio al lavoro di costruzione della storia.

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