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Un anno di fake news sulla guerra in Ucraina

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La sovraesposizione mediatica ha creato molta disinformazione. L'impatto negativo delle bufale sulla guerra in Ucraina non riguarda solo il dibattuto pubblico, sottolineano NewsGuard e Competence, ma anche le aziende.

In un anno sono state almeno cento le fake news sulla guerra in Ucraina circolate in Rete, su oltre trecentocinquanta siti diversi.

Più che i numeri in sé a preoccupare gli esperti sembra essere, però, l’evidenza che la disinformazione continua a crescere nonostante la forte copertura mediatica riservata al sul conflitto russo-ucraino, o forse proprio a causa di essa.

Solo negli ultimi quattro mesi NewsGuard, che ha presentato questi dati in collaborazione con Competence e il Sistema Bibliotecario di Milano, ha verificato e smentito 36 bufale e identificato 94 nuovi siti che diffondono informazioni false, non verificate o manipolate sulla guerra.

Come durante la pandemia da coronavirus sembra esserci stata, cioè, un’ infodemia parallela che ha avuto come vittime principali qualità e imparzialità dell’informazione.

Di che natura sono le fake news sulla guerra in Ucraina che circolano in Rete

Non sembra un caso, così, che la maggior parte delle fake news sulla guerra in Ucraina circolanti in Rete mirino a negare le atrocità e gli abusi compiuti dalla Russia in Ucraina, a colpevolizzare gli stessi ucraini o a ingigantire i successi militari della Russia.

Come sottolineato da Lorenzo Brufani, founder e CEO di Competence:

«la tempestività e un approccio sensazionalista alle notizie stanno mettendo in secondo piano la verifica delle fonti e gli approfondimenti sul campo. Oggi conta purtroppo sempre di più il traffico generato online da un pubblico che non legge più ma che si limita a “vedere” le notizie, soffermandosi sul titolo ad effetto o su una foto o un video impattante. Così facendo la propaganda ha campo fertile e clamorosamente la over connessione sui social finisce per creare delle bolle di sconnessione».

Persino le misure adottate, fin dai primi giorni del conflitto, dalle varie piattaforme digitali non sembrano essere servite ad arginare propaganda e fake news sulla guerra in Ucraina.

Già a marzo 2022 Facebook, Twitter, YouTube e TikTok avevano bloccato1 canali e profili dei media statali russi, come Sputnik e RT. Eppure, come rilevò allora NewsGuard, entro 40 minuti dalla registrazione ai nuovi iscritti su TikTok venivano presentate informazioni false e fuorvianti sulla guerra, anche senza che avessero effettuato alcuna ricerca sull’argomento.

Ora, a un anno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, la stessa NewsGuard ha scoperto che i documentari propagandistici di RT hanno continuato a circolare su YouTube, nonostante le restrizioni applicate della piattaforma ai media finanziati dalla Russia: ne sarebbero stati rintracciati più di 250, diffusi da oltre 100 canali diversi. Conterrebbero affermazioni false e fuorvianti come la teoria secondo cui le autorità ucraine avrebbero commesso un “genocidio” dei russofoni nel Donbass e l’affermazione secondo cui il “nazismo” sarebbe prevalente nella politica e nella società ucraine.

Così le bufale sul conflitto russo-ucraino mettono in pericolo le aziende

Le fake news sulla guerra in Ucraina non hanno solo, come più in generale bufale e disinformazione, impatto sulla vita e sul dibattito pubblico: possono mettere a rischio immagine e reputazione dei brand , andandosi a sommare al numero di minacce informatiche in crescita dall’inizio della guerra in Ucraina a cui gli ultimi sono stati esposti.

Basti pensare che quasi un terzo dei siti che durante quest’anno ha veicolato disinformazione sul conflitto russo-ucraino ha continuato a guadagnare tramite la programmatic advertising e che tra questi più di quaranta lo hanno fatto tramite il sistema di Google, sfruttato per gli investimenti in pubblicità digitale dai più importanti brand a livello globale.

«Gli inserzionisti – ha spiegato Virginia Padovese, managing editor per l’Europa di NewsGuard – spesso non sanno che i loro annunci pubblicitari compaiono su siti che supportano la disinformazione del Cremlino» e questa inconsapevolezza finisce per mettere in pericolo la loro brand safety.

Note
  1. Vox
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