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Facebook paga gli utenti per accedere ai loro dati (e lo fa anche Google)

Facebook paga gli utenti per accedere ai loro dati

Facebook paga gli utenti per accedere alle loro attività sullo smartphone. Lo fa però anche Google. Quanto vale la privacy di un utente?

Facebook paga gli utenti per accedere ai loro dati presenti sullo smartphone e a tutte le loro attività online: dai messaggi alle email, dalle chiamate agli acquisti, tutti questi dati sarebbero raccolti da un’applicazione chiamata Facebook Research App. Questo tipo di programma e questo tipo di attività, però, non riguarderebbero soltanto la società di Menlo Park, poiché a quanto pare anche Google raccoglierebbe dati degli utenti in un progetto simile, come riporta TechCrunch”. Quanto può valere, allora, la privacy di un utente?

Facebook paga gli utenti per accedere ai dati: la guerra con apple

La cifra mensile corrisposta agli utenti (tramite carta regalo elettronica) per l’installazione di Facebook Research App – l’app usata dalla società di Mark Zuckerberg per la raccolta di dati – corrisponde a 20 dollari (circa 17.50 euro). In questo modo, dunque, Facebook paga gli utenti, avendo accesso alle attività effettuate online dagli iscritti più giovani. Il target di questo programma di ricerca di mercato, infatti, ha un’età compresa tra i 13 e i 35 anni e deve fornire il proprio consenso all’installazione di quest’app basata sulla tecnologia VNP (o rete virtuale privata).

Per poter coinvolgere anche gli utenti con dispositivi Apple, però, Facebook sembra abbia violato le politiche relative alla privacy dell’azienda di Cupertino, motivo per cui è stata bandita dall’App Store. Inoltre, Apple avrebbe annullato l’accesso di Facebook al suo Developer Enterprise Program, che consentiva all’azienda di Zuckerberg di condividere delle applicazioni per iOS con i propri dipendenti. Le conseguenze di questa decisione sarebbero state serie, considerando che i dipendenti di Facebook si ritroverebbero attualmente impossibilitati ad accedere ad alcune delle applicazioni che usano per lavorare. Come si legge su “The Verge”, i dipendenti non riuscirebbero a utilizzare delle versioni recenti dell’app di Facebook, Messenger, ma anche altre versioni beta usate internamente e app create per i dipendenti, come quella relativa ai mezzi di trasporto.

Facebook non spia nessuno (ALMENO non di nascosto)?

La notizia ha generato molta inquietudine tra gli utenti perché il target della ricerca comprende anche gli adolescenti – in particolare quelli dai 13 anni in poi – che in questo modo consegnano dati sensibili all’applicazione.

Secondo le dichiarazioni del portavoce di Facebook, comunque, «non c’era nulla di segreto” in questo programma di ricerca di mercato; si chiamava infatti esplicitamente “Applicazione di ricerca di Facebook”. Nessuno era spiato, dato che tutti i partecipanti sono passati per un processo di iscrizione in cui veniva richiesto il loro consenso e in cui venivano pagati per partecipare».

In merito invece al target scelto e al coinvolgimento di adolescenti in questo programma, Facebook ha dichiarato che «meno del 5% delle persone che hanno deciso di partecipare a questa ricerca di mercato era adolescente. Ogni persona ha presentato un modulo di consenso firmato dai genitori».

In realtà questo tipo di programma non è per niente una novità tra i progetti di Facebook: prima di Facebook Research l’azienda di Zuckerberg infatti utilizzava l’applicazione Onavo Protect per raccogliere dati (sempre tramite VPN). Onavo Protect, acquistata da Facebook nel 2013, è stata accusata di violare le norme di Apple in merito alla privacy, motivo per cui è stata rimossa dall’App Store ad agosto 2018. La policy dell’azienda prevede che le app presenti nello Store non raccolgano dati di un utente per fini di ricerca o pubblicitari da altre app installate sull’iPhone. Allo stesso modo, anche Facebook Research App si scontrava con le politiche di raccolta dati di Apple. Dopo le accuse da parte di Apple, l’applicazione Facebook Research è stata bandita per i dispositivi iOS, anche se sembra che sia rimasta attiva per gli Android.

Anche Google PAGA PER ACCEDERE AI DATI

Facebook, comunque, non sarebbe l’unica azienda: Google porta avanti una simile attività di raccolta dati con l’app Screenwise Meter (anche questa ormai esclusa dall’App Store dei dispositivi iOS per violazione delle politiche sopracitate).
L’applicazione, lanciata nel 2012, sfrutta sempre la tecnologia VPN per monitorare l’attività degli utenti; in cambio Google offre delle carte regalo.

L’invito all’installazione di quest’app fa parte di un progetto più ampio di raccolta dati, che comprende il programma di ricerca Cross Media Panel e il programma Google Opinion Rewards che premiano gli utenti per l’installazione di sistemi di monitoraggio nei diversi dispositivi (dallo smartphone al browser del computer, fino ad arrivare a router e TV).

Nel caso dell’applicazione Screenwise Meter, gli utenti invitati a partecipare sono individui maggiorenni, mentre agli utenti con un’età compresa tra i 13 e i 18 viene data la possibilità di partecipare solo se membri di un gruppo di famiglia.

In seguito alla vicenda di Facebook, Google ha annunciato di rimuovere l’applicazione sopracitata dall’Enterprise Certificate Program di Apple e di disabilitarla sui dispositivi iOS, chiedendo scusa per la violazione in questione e sottolineando il carattere volontario del programma che, difatti, i partecipanti possono abbandonare quando vogliono.

È opportuno sottolineare, però, che rispetto a quello di Facebook il programma di Google è più trasparente“. Infatti, l’azienda è molto chiara sul funzionamento dei suoi programmi, informando esplicitamente gli utenti sulla tipologia di dati raccolti e dando loro la possibilità di attivare una “modalità ospite” (guest mode) per i momenti in cui non si vuole che il traffico sia monitorato o quando per esempio un bambino utilizza il dispositivo.

20 dollari: QUESTO È il valore della privacy degli utenti?

Scoprire che Facebook paga gli utenti per accedere ai loro dati dovrebbe portare le persone a riflettere su alcune questioni importanti; la prima su tutte: quanto vale la privacy di una persona? Si parla di dati sensibili di ogni tipo, vale a dire acquisti, attività effettuate online, storico delle ricerche e qualsiasi cosa venga scritta in un messaggio privato. Alcuni documenti, secondo “TechCrunch”, facevano riferimento al programma sopracitato come Project Atlas, un nome che richiama perfettamente le intenzioni di Facebook di monitorare ogni novità, competitor o trend presente in qualsiasi parte del mondo.

Cosa dire, poi, dell’azione di pagare una persona affinché rinunci alla sua privacy? 20 dollari possono sembrare una piccola somma, ma il sistema è costruito in modo tale da far leva su un target di utenti per cui la cifra in questione, alla fine del mese, può fare la differenza. Anche quando “non c’è nulla di segreto”, può esserci comunque qualcosa di sbagliato o almeno di poco trasparente.

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