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Brand Meets Movie: se gli slogan di brand fossero titoli di film
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In Brand Meets Movie Andrea Erali ha sostituito i payoff dei brand con titoli di film o libri. Perché? Ce lo spiega in un’intervista.
Cosa succederebbe se si sostituisse lo slogan di un brand , quella frase breve o brevissima che ne riassume la mission , con il titolo di un film o di un libro? È quello che ha provato a fare con Brand Meets Movie Andrea Erali, un giovane creativo italiano di stanza a New York, dove sta completando un internship da art director alla Saatchi&Saatchi.
«Brand Meets Movie è nato per puro caso – racconta in un’intervista ai nostri microfoni – una sera, qui a New York, mentre ero a casa con amici alla ricerca di un buon film. Stavo facendo lo scroll di un sito web nella speranza che qualcosa saltasse all’occhio e, nell’osservare quella cascata di titoli, pensai a come molti sembrassero slogan per brand. Ecco fatto. Non avevo trovato un film, ma un progetto sì».
Quello che è accaduto dopo è quello che chiunque può vedere nella sezione dedicata a Brand Meets Movie sul sito personale di Andrea Erali. Una galleria di loghi e brand, tra i più famosi, che incontrano, letteralmente, fino a mixarsi in toto con essi, alcuni dei prodotti più iconici dell’immaginario pop occidentale. Nella maggior parte dei casi, si tratta di abbinamenti tra brand e film (o libri) immediati, facili da indovinare, giocosi, ma che non rinunciano a ironizzare sul rapporto, a volte morboso, che abbiamo con i consumi.
Snapchat, il social del fantasmino da più di 150milioni di utenti attivi ogni giorno e amatissimo dalle aziende, così, potrebbe avere benissimo come slogan “Via col vento”: i suoi contenuti temporanei, del resto, rispecchiano in pieno la filosofia del “dopotutto, domani è un altro giorno!” dell’amata Rossella O’ Hara.
La tagline ideale per Instagram, secondo Andrea Erali, potrebbe benissimo essere, invece, “I know what you did last summer” (titolo originale di “So cosa hai fatto”): immaginate se, come nel thriller di Gillespie, qualcuno venisse a chiederci conto dei nostri mille scatti vacanzieri?
E, per restare ancora tra i giganti del digitale, non c’è brand migliore di Google per un remix con “Final Destination”: Big G., infatti, decide quasi sempre la destinazione finale di ogni nostro navigare in rete.
Lo slogan di Netflix, invece, è più qualcosa simile a “Le mille e una notte”: sarà per le tante storie che, nonostante il flop di abbonamenti, il servizio di streaming televisivo continua a raccontarci.
Un tributo agli amanti di Apple e l’impero di Steve Jobs diventa la creatura (nonché l’equipaggio hi-tech più adatto) per “A beutiful mind”.
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Creatività a parte, c’è un cortocircuito con quello che avviene realmente quando un brand, alla ricerca di uno slogan o un payoff accattivante, attinge all’immaginario letterario-cinematografico?
Credo che, nella realtà, nessun brand acquisirebbe mai il titolo di un film o di un libro come proprio payoff, perché un brand di successo deve sempre saper raccontare la propria storia. L’influenza da parte di libri e film, però, è più visibile e accettabile nelle campagne pubblicitarie che derivano da quel payoff, cosa che spesso porta a risultati intelligenti. Si prenda come esempio Coca Cola zero. Lo slogan ufficiale del prodotto è “Great Taste, Zero Sugar”: direi quantomeno poco creativo. Con la campagna “Unlock the 007 in you”, lanciata nel 2012 per promuovere il nuovo film di James Bond “Skyfall”, i partecipanti potevano vincere un biglietto gratis superando una serie di ostacoli in 70 secondi all’interno di una stazione ferroviaria: un accostamento davvero brillante, considerando che Coca Cola zero ha un target principalmente maschile e attento alla prestanza fisica.
Il contraltare di tutto questo è che, mentre i brand puntano a slogan, payoff, tagline come elementi che ne assicurino la riconoscibilità, anche a livello inconscio, da parte del consumatore, persino i prodotti culturali sono costretti a cercare in citazioni, battute, scene cult il loro distintivo. «Oggi comunichiamo sempre più attraverso le GIF, e siamo sempre più sommersi da messaggi pubblicitari e prodotti televisivi che accorciano il nostro range di attenzione. Per questo è fondamentale per libri e film saper entrare nella mente dell’audience con battute e citazioni d’effetto che possano entrare nella “pop culture”», sottolinea infatti Andrea Erali.
Quanto all’idea alla base di Brand Meets Movie, però, rischia di mettere a confronto due realtà, quella della cultura aziendale e quella di mashup e remix, che non sempre rappresentano un binomio semplice. Spesso, infatti, le aziende si nascondono dietro un certo “protezionismo” della propria immagine e, per questo, non vedono di buon occhio le operazioni di “ri-montaggio” e rielaborazione da parte degli utenti del web, per quanto fan o affezionati del brand.
Com’è andata, in questo senso, l’esperienza di Brands Meet Movie?
Ogni brand, è vero, ha una propria vision e una strategia a supporto del messaggio che desidera condividere. Ma le leve del marketing, da sole, non bastano. Negli ultimi dieci o quindici anni, abbiamo assistito a una crescente forma di comunicazione bottom-up, che parte dall’audience per arrivare fino al brand. Impossibile per le aziende ignorare questo fenomeno che consente di fare reverse engineering per trovare modi più autentici e genuini di comunicare con il proprio target. Nel mio caso, credo che la ricezione sia stata positiva. Del resto, l’obiettivo di Brand Meets Movie non è ridefinire valore e significato dei brand coinvolti, quanto semmai un modo di strizzare l’occhio. Spero di aver strappato qualche sorriso.
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