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Adolescenti e media in Campania: dalle abitudini di consumo ai rischi che corrono

Adolescenti e media in Campania: abitudini e rischi

Il rapporto tra adolescenti e media in Campania fotografato in uno studio che ne approfondisce le abitudini e sottolinea che rischi corrono.

Di cosa è fatto il rapporto tra adolescenti e media in Campania? Il contesto territoriale incide sul modo in cui i giovani vivono la propria vita onlife, dentro e fuori dagli ambienti mediatici? A domande come queste ha provato a rispondere “L’influenza dei media locali sui minori e nuovi media”, una ricerca condotta dall’Osservatorio Giovani dell’Università Federico II di Napoli e Co.Re.Com. Campania.

Adolescenti e media in Campania: uno sguardo alla situazione delle emittenti locali

A partire da un aspetto forse mai davvero approfondito dalle, pure tante, ricerche su giovanissimi e media: che ne pensano di TV ed emittenti locali? Ne consumano i contenuti e, se sì, in che modo? Il dato macroscopico è che solo il 45.7% degli adolescenti campani – meno, insomma, di un giovane su due – guarda le TV locali. Lo fa soprattutto in fascia serale, dalle 19 alle 22.30, e per scopi molto precisi come seguire programmi sportivi dedicati alle proprie squadre del cuore o l’informazione locale.

C’è una precisa discriminante città-provincia nel consumo di media locali da parte dei giovanissimi campani: sono soprattutto gli abitanti dei piccoli centri, seppure anagraficamente molto giovani, a fare largo consumo di trasmissioni e informazione locali: lo stesso non accade in città ed è segno del ruolo di aggregatore sociale e di comunità svolto ancora dalla TV.

Studiare adolescenti e media in Campania, però, è servito soprattutto ad accorgersi di una scarsa, quando non inesistente, attenzione da parte dei media locali per le esigenze dei più piccoli: il 46% del campione di OTG e Co.Re.Com. Campania ha dichiarato, infatti, di aver assistito a scene esplicite, di violenza o sesso, all’interno delle trasmissioni della TV locale e il 19.1% di questi ammette di esserne rimasto turbato. Più in generale, se alcune emittenti locali hanno provato ad adeguare la propria offerta a un consumatore più giovane e con una dieta mediatica di certo più ibrida – anche gli adolescenti campani, infatti, guardano la TV sempre più in modalità smart, da computer, tablet o smartphone, oltre che dal tradizionale schermo – nel complesso i palinsesti locali rimangono alquanto antiquati, tanto che il 54.3% del campione li considera poco attraenti e per questo non ne fruisce.

Non solo TV, gli adolescenti campani sui social media tra opportunità e rischi

Quando si parla di adolescenti e media in Campania, però, non si può non far riferimento al mondo dei social. Come i propri coetanei di altre regioni italiane, infatti, i giovani campani utilizzano le reti sociali e lo fanno secondo dei pattern stabili. Solo per citare qualche dato: l’89,5% degli adolescenti campani avrebbe almeno un profilo social e il 32% utilizzerebbe invece, contemporaneamente, più social network diversi; il social con più iscritti tra i giovanissimi sarebbe Facebook (qui ha un profilo, infatti, il 41,1% del campione), seguito da WhatsApp (37,6%) e Instagram (13,6%); lo scenario cambia, però, se si passa a considerare invece il social più amato, quello su cui gli adolescenti passano più tempo e investono più energie, anche creative, forse convinti soprattutto dall’assenza dei genitori in quell’ambiente, che è Instagram.

Per gli adolescenti campani, comunque, i diversi social network sono «palestre di socialità», come ha ricordato Lello Savonardo, coordinatore dell’Osservatorio Giovani, durante la presentazione dello studio alla Federico II che si è tenuta il 25 marzo 2019, e tutto fanno tranne che sostituirsi ad altre occasioni di socializzazione faccia a faccia: basti pensare che il 66.3% del campione ha ammesso di cercare sui social amici e conoscenti che ha già incontrato nella vita reale.

Interessante, quando si intende esaminare il rapporto adolescenti e media, in Campania come in qualsiasi altra regione, è comunque guardare a se e quanto i più giovani, anagraficamente dei nativi digitali, facciano un uso davvero consapevole di tecnologie e ambienti digitali. Osservati speciali, in questo senso, non possono che essere le questioni legate a privacy e riservatezza delle informazioni personali e i rischi, dal sexting al cyberbullismo , che si corrono a vivere negli ambienti digitali.

Dalla privacy alla costruzione della propria reputazione online: gli insight sui giovani campani

Per la maggior parte degli adolescenti campani intervistati, così, la questione privacy e riservatezza sembra intimamente legata alla propria reputazione online. Va da sé, del resto, che per un adolescente conti dare la migliore immagine possibile, ovunque, dentro e fuori dagli ambienti digitali che sia.

Se la percentuale di chi sceglie una privacy pubblica per i propri profili social è simile a quella di chi opta invece per un profilo privato, due aspetti sembrano particolarmente interessanti nello studio in questione. Il primo: c’è una percentuale, seppure davvero minoritaria, di giovanissimi che dice di non sapere o non ricordare le impostazioni per la privacy dei propri profili social. Il secondo: emerge come trend che, laddove possibile, sempre più adolescenti campani adottano un profilo business per poter ricevere più insight sulla propria attività e la sua efficacia.

Gli estremi tra cui ci si muove sembrano essere, insomma, un’estrema leggerezza attribuita a tutte le questioni che hanno a che vedere con la propria privacy e una perfetta, quanto consapevole, costruzione del proprio brand personale. Nel primo senso, la maggior parte dei giovani campani non ha remore a pubblicare sui social contenuti come foto profilo che li mostrano chiaramente in volto (lo fa il 79,6% del campione), il cognome (72,4%), la scuola frequentata (52,9%) o l’età esatta (48,9%) e lo stato e le relazioni sentimentali (34%). Quando si è trattato di tutelare la propria immagine, invece, gli adolescenti del campione hanno preventivamente evitato di pubblicare alcuni contenuti per paura di un danno di qualsiasi sorta (36,7%) o, a posteriori, hanno cancellato qualcuno dalla propria lista di amici (62,7%), modificato i contenuti pubblicati in passato (39,6%), rimosso i tag da vecchie foto (33,6%).

Una certa consapevolezza e, ancor più, una certa preoccupazione sembra esserci poi tra i giovani campani quanto al rischio di diffamazione online: ben oltre la costruzione di un’immagine patinata di se stessi, infatti, una buona percentuale del campione di OTG e Co.Re.Com ha ammesso di essere stata vittima almeno una volta di azioni considerate diffamatorie come l’essere taggato in una foto in cui, invece, non si desiderava comparire (sarebbe successo al 27,4% dei giovani campani), l’essersi imbattuto online e in maniera inconsapevole in una propria foto (16,3%), l’aver visto le proprie informazioni personali utilizzate in maniera fastidiosa (13,9%) o persino l’essere stati vittime di furto d’identità (consistito, nel 7,4%, nel fatto che terzi si siano appropriati delle password, quando non addirittura del dispositivo, e si siano finti la persona in questione).

Cyberbullismo e revenge sexting: gli adolescenti campani ne sono vittime ma non lo ammettono

Cyberbullismo e revenge sexting sono stati, in particolare, osservati speciali di questa indagine su adolescenti e media in Campania. Il trait d’union tra questi due fenomeni? Una certa ritrosia delle vittime a parlarne. Quando ai ragazzi del campione è stato chiesto, esplicitamente, se fossero stati vittima di cyberbullismo, infatti, il 64% ha risposto di no: la percentuale scende di quasi dieci punti, però, se si esce dalla dimensione personale e si chiede agli adolescenti se siano stati testimoni, invece, di atti di cyberbullismo. Un segno piuttosto evidente, insomma, di come i più piccoli provino una certa difficoltà a parlare degli abusi che subiscono online e persino ad ammettere di essere turbati da eventuali comportamenti sbagliati degli altri nei loro confronti: anche in questo caso c’è uno scarto di circa il 10% tra chi dice di essere stato turbato da episodi di cyberbullismo che lo hanno riguardato personalmente e chi, invece, ammette turbamento per episodi capitati a terzi. Il 38,5% del campione, però, ammette di essere stato vittima di bullismo anche fuori dalla Rete: il cyberbullismo, quindi, non è un fenomeno davvero digitale, ma solo un prolungamento di cattivi comportamenti nella vita reale.

Anche per il revenge sexting – ossia lo scambio di messaggi di natura esplicita, anche qualora sia esclusa la componente di vendetta, che è fondante invece del revenge porn – il dato cambia molto a seconda che si chieda agli adolescenti se ne siano stati vittime direttamente o solo testimoni: nel primo caso il 74,2% sostiene di non esserne stato vittima e appena il 4,8% ammette di esserne stato vittima ed esserne rimasto particolarmente turbato; come testimoni, invece, la prima percentuale scende al 70,6% e la seconda sale all’11,9%, ancora un segno di riluttanza e vergogna a parlare di certi argomenti. In questo caso più che per quanto riguarda il cyberbullismo, la reazione è molto diversa tra maschi e femmine: quando ricevono messaggi sessualmente espliciti i primi sarebbero più disinvolti delle seconde, in special modo se il mittente è una donna più in là con gli anni; le ragazze sarebbero, invece, più spaventate dai tentativi di adescamento sui social.

Adolescenti e media in Campania: il ruolo della scuola e dellA famiglia

Come – e dove – corrono ai ripari i giovani campani davanti a questi pericoli che arrivano dai (social) media? Casa e scuola, del resto i principali luoghi di socializzazione per i più piccoli, giocano un ruolo fondamentale. Chi è stato vittima o testimone di un comportamento scorretto online si rivolgerebbe, infatti, per lo più ai genitori (alla madre più che al padre, con percentuali rispettivamente del 44,7% e del 35,6%), agli amici e ai fratelli maggiori.

Non si può non notare, però, una particolarità tutta territoriale: c’è una sorta di digital divide profondo tra le famiglie campane e in non pochi casi sono proprio i più piccoli a fare da ponte verso la tecnologia. Va da sé allora che, in questo contesto, i giovanissimi si ritrovano più scoperti che alleati contro cyberbullismo, violazione della privacy e altri rischi che vengono dagli ambienti mediatici e si rende indispensabile, proprio per questa ragione, un impegno concreto dall’alto per una cittadinanza digitale consapevole e maggiore educazione civica digitale. La scuola dal canto suo, del resto, non sempre sembra fare abbastanza: solo nel 31,8% dei casi gli insegnanti hanno spiegato ai propri alunni cosa fare nel caso in cui vengano infastiditi sui social e la percentuale è ancora inferiore (si ferma al 21,7%) se si considera chi ha intrapreso azioni concrete, come progetti di sensibilizzazione, per un uso sicuro della Rete.

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