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L'evoluzione dello smart working in Italia dopo l'arrivo della pandemia secondo i dati di RADICAL HR Club

evoluzione dello smart working in Italia dopo l'arrivo della pandemia

La pandemia ha accelerato il ricorso allo smart working da parte delle aziende; tuttavia alcune realtà sono ancora indietro. Una ricerca condotta da Radical HR Club fa luce sulla situazione attuale nel Paese, alla fine 2021.

Sono passati circa venti mesi da quando l’OMS ha dichiarato il COVID-19 pandemia globale1 e molti sono stati i cambiamenti avvenuti da allora nel mondo aziendale, in particolare per quanto riguarda le modalità di lavoro. Infatti, l’emergenza sanitaria sembra aver accelerato notevolmente l’adozione dello smart working stando a un’indagine condotta da RADICAL HR Club, community online di aggiornamento e crescita continua per professionisti del settore delle risorse umane.

La ricerca in questione riporta alcuni dati interessanti riguardo all’evoluzione dello smart working in Italia, permettendo di avere un’idea generale sulle imprese che sembrano aver abbracciato questa modalità di lavoro e su quelle che invece continuano a privilegiare esclusivamente il lavoro in presenza.

Smart working in Italia a fine 2021: la situazione

Per condurre quest’indagine sono state intervistate 607 persone che si occupano di risorse umane in piccole, medie e grandi imprese in tutta Italia. Sono state inoltre raccolte le opinioni di alcuni esperti di risorse umane, professionisti che, secondo il report pubblicato dall’azienda, giocano un ruolo chiave nel guidare la trasformazione e l’adozione dello smart working all’interno delle imprese.

A risaltare è un ricorso notevole allo smart working da parte delle aziende: l’88% delle aziende italiane intervistate ha adottato questa modalità di lavoro a distanza. Di queste, il 26% consente ai lavoratori di farlo due volte a settimana, il 17% tre volte a settimana e il 12% una volta a settimana. Solo nel 5% delle aziende intervistate è possibile fare smart working 5 giorni su 5. Infine, tra le persone che hanno risposto al questionario, 1 su 4 può scegliere se recarsi o meno in ufficio.

evoluzione dello smart working in Italia

Fonte: RADICAL HR Club

Cos’è cambiato dopo l’arrivo della pandemia?

Secondo i risultati del questionario di RADICAL HR Club sull’evoluzione dello smart working in Italia, prima della pandemia era possibile far ricorso a questa modalità di lavoro a distanza solo nel 47% delle aziende intervistate. Confrontando le risposte relative al prima e al dopo l’inizio dell’emergenza sanitaria c’è stato un incremento del 300% del numero di aziende che consentono ora di fare smart working due volte a settimana (passando dall’8% al 26%).

La percentuale di quelle che ora invece consentono di farlo per tre giorni a settimane è salita dall’1% al 17%. Per quanto riguarda la possibilità di scegliere sempre autonomamente dove lavorare la percentuale raddoppia, salendo dal 10% al 23%.

Un altro dato interessante riguarda il cambiamento riscontrato in base alla dimensione aziendale: dopo l’arrivo della pandemia le media imprese in cui non è possibile fare smart working (tra quelle che hanno partecipato al questionario) sono passate dal 63% al 15%; quelle piccole dal 57% al 17%; quelle grandi dal 41% al 6%.

I dati menzionati sembrano segnalare un effettivo cambiamento sicuramente accelerato dalle restrizioni imposte dalla pandemia e dalla necessità di trovare soluzioni alternative per poter svolgere le proprie attività anche da remoto.

Evoluzione dello smart working in Italia

Fonte: RADICAL HR Club

Quali sono le aziende più aperte a questa modalità di lavoro e quali problemi riscontrano?

Per quanto concerne il campione preso in analisi, il 94% delle grandi aziende consente attualmente ai dipendenti di fare smart working. Questa percentuale scende all’85% nel caso delle medie imprese e all’84% per le piccole imprese. Attualmente solo nel 12% delle aziende intervistate non sarebbe ancora possibile fare smart working.

I dati cambiano sostanzialmente anche in base all’area geografica: al Centro Italia è possibile fare smart working nel 91% delle aziende, mentre al Nord è possibile per l’88% delle aziende intervistate. Rimane ancora indietro il Sud dove solo il 64% delle aziende consente ai dipendenti di sfruttare questa modalità di lavoro da remoto .

Il ruolo delle risorse umane nel guidare il cambiamento

Il report di RADICAL HR Club sull’evoluzione dello smart working in Italia sembra porre particolarmente in evidenza il ruolo del dipartimento delle risorse umane (HR) nel guidare l’adozione di nuove modalità di lavoro; tuttavia, spesso questi professionisti non vengono presi in considerazione.

Nelle aziende dove è attualmente possibile svolgere questa modalità di lavoro, quasi 7 HR su 10 hanno guidato questa trasformazione. Rimane però ancora un 35% che non è stato ascoltato o che non è nemmeno stato consultato in merito, cosa che secondo Alessandro Rimassa, fondatore di RADICAL HR Club, finisce per avere delle implicazioni negative sulla cultura aziendale, mettendo inoltre a rischio la capacità di coinvolgimento e di employee retention. A questo proposito, come si legge nel comunicato stampa con cui è stata diffusa la ricerca, le HR possono svolgere un ruolo importante nel «progettare programmi di formazione per lavorare bene in smart working e ripensare l’employee experience. Senza formazione e cura le persone si allontaneranno dall’azienda».

Importante inoltre la precisazione di Alessandro Rimassa sui risultati ottenuti: come afferma l’esperto, in questa ricerca è stata utilizzata l’espressione “smart working” per riferirsi a «tutte le forme di lavoro non in ufficio», dunque al lavoro che viene svolto non necessariamente a casa ma in qualsiasi altro luogo, scelto del dipendente. Tuttavia ha tenuto a precisare: «se avessimo chiesto quante aziende lavorano davvero per obiettivi senza vincoli di tempo e luogo sono certo che i numeri sarebbero stati molto più bassi».

Per Alessandro Rimassa, in effetti, «il vero smart working» è ancora lontano dalla realtà che si vive attualmente in Italia ma si tratta di un obiettivo raggiungibile «con una nuova cultura aziendale, basata su fiducia, trasparenza e condivisione degli obiettivi».

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