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Le videoconferenze sono davvero necessarie per il lavoro da remoto? Ecco quando sono utili e quando diventano un problema

Le videoconferenze sono davvero necessarie per il lavoro da remoto? Ecco quando sono utili e quando diventano un problema

Dalla "Zoom fatigue" all'uso di app per "scappare" dalle riunioni: cosa queste tendenze e le ricerche condotte nell'ultimo anno dicono sulla reale utilità delle videoconferenze.

Da quando è iniziata la pandemia abbiamo assistito al notevole incremento dell’uso di piattaforme per videocall, come Microsoft Teams, Zoom o Google Meet da parte delle aziende: nell’ultimo anno questi tool sono stati sfruttati come non mai in alternativa alle riunioni in presenza e per favorire il lavoro di gruppo e la collaborazione tra dipendenti, anche a distanza. Uno studio condotto da alcuni ricercatori della Carnegie Mellon University ha però sollevato alcuni dubbi sull’effettiva utilità delle videoconferenze per il lavoro da remoto . Ricerca a parte, vi sono poi delle problematiche, oggetto di dibattito negli ultimi mesi, che aiutano a riflettere su come questo strumento di comunicazione possa rivelarsi meno utile del previsto.

Le videoconferenze possono rivelarsi controproducenti? In alcuni casi sì

L’aumento dello smart working e la drastica riduzione delle interazioni in presenza hanno portato le aziende a investire in soluzioni alternative: la crescita esponenziale del ricorso a videoconferenze si deve in parte all’idea, comunemente diffusa, che l’interazione faccia a faccia, in questo caso tramite videochiamata, tenda a essere più efficace in ogni situazione comunicativa. Uno studio però suggerisce che «i metodi di comunicazione non visiva che sincronizzano e potenziano meglio i segnali audio sono in realtà più efficaci» per il lavoro di gruppo.

La suddetta ricerca ha analizzato l’efficacia della collaborazione e del lavoro di gruppo tramite videochiamata e tramite chiamata vocale e i risultati sono stati alquanto interessanti: secondo lo studio, le videoconferenze potrebbero addirittura rendere più difficile il lavoro di gruppo e il problem solving.

L’impatto del video sull’intelligenza collettiva e sull’interazione tra le persone

Lo studio si è focalizzato sull’intelligenza collettiva, intesa in questo caso come «la capacità di un gruppo di risolvere un ampio ventaglio di problemi», come si legge in un comunicato stampa rilasciato dall’università, e su come la cosiddetta sincronia nei segnali non verbali aiuti a sviluppare questa capacità.

Come spiegano i ricercatori, la «sincronia si verifica quando due o più comportamenti non verbali sono allineati» e le conversazioni sarebbero dunque possibili quando gli interlocutori riescono a condividere i propri pensieri seguendo una turnazione, utilizzando i segnali non verbali (come le espressioni facciali o gli indizi vocali come l’intonazione) per stabilire come e quando effettuare il cambio di turno.

Partendo da queste importanti premesse è possibile focalizzarsi sui risultati della ricerca, che sottolinea la rilevanza di indizi o segnali vocali che sembrano essere compromessi dall’uso del video durante le chiamate. Lo studio ha rivelato come le videoconferenze potrebbero ridurre l’intelligenza collettiva, proprio perché porterebbero gli interlocutori ad avere un contributo diseguale nella conversazione, perché le videoconferenze interferirebbero con la sincronia vocale o prosodica (che cattura gli indizi meramente vocali come l’intonazione, il tono e il ritmo del parlato).

Dai risultati è emerso che i gruppi di partecipanti che effettuavano videoconferenze riuscivano comunque a raggiungere un certo livello di intelligenza collettiva grazie alla sincronia delle espressioni facciali. Tuttavia, nelle fasi della ricerca si è rilevato che la sincronia prosodica era in grado di migliorare l’intelligenza collettiva, sia nei gruppi che avevano accesso al video che in quelli che effettuavano delle telefonate; la sincronia inoltre era favorita dal fatto che prendessero parola in maniera uguale.

L’aspetto più curioso è che l’accesso al video non consentiva ai partecipanti di prendere parola in maniera perfettamente uguale, a dimostrazione del fatto che «l’uso della videoconferenza può effettivamente limitare la sincronia prosodica e quindi ostacolare l’intelligenza collettiva».

Per questa ragione, i ricercatori della Carnegie Mellon University hanno affermato che «potrebbe valere la pena disabilitare la funzione video per promuovere una migliore comunicazione e interazione sociale», specialmente laddove sia richiesta una collaborazione nella risoluzione di problemi.

“Zoom fatigue” e altri fenomeni collegati all’uso (spesso eccessivo) delle videoconferenze

Negli ultimi mesi diversi studi hanno provato ad analizzare l’impatto dell’uso prolungato delle piattaforme di videoconferenza sugli utenti. Uno di questi ha messo in evidenza che il 54% degli automobilisti che hanno guidato subito dopo aver utilizzato una piattaforma di videocall ha riportato problemi di concentrazione alla guida. Il dato è stato rilevato dall’azienda di assicurazioni Root Insurance grazie a un sondaggio condotto su 1819 nordamericani.

Durante una videoconferenza, «tutte le risorse [attentive] devono essere indirizzate su uno schermo. […] Devi trasferirti in un luogo in cui non ci sei fisicamente, mentre cerchi di ignorare tutte le distrazioni attorno a te», ha fatto notare Stefan van der Stigchel, psicologo sperimentale presso l’Università di Utrecht nei Paesi Bassi. La difficoltà nel concentrarsi completamente su un’attività può incidere su ciò che si fa immediatamente dopo e per tale ragione lo psicologo consiglia di provare a effettuare qualche altra attività prima di mettersi al volante.

Questi dati possono essere facilmente collegati alla cosiddetta “Zoom fatigue“, espressione che si è molto diffusa nell’ultimo anno e usata per descrivere la stanchezza provocata dall’utilizzo di piattaforme di videoconferenza (non solo Zoom, dunque, ma anche tutte le altre).

E per chi ritiene che i tanti articoli pubblicati su “come combattere la Zoom fatigue” non offrano soluzioni adeguate a risolvere il problema, vi sono delle alternative più estreme pensate per aiutare gli utenti a scappare dalle riunioni. È possibile citare a questo proposito l’applicazione Zoom Escaper, creata da Sam Lavigne: in un video viene spiegato il funzionamento del tool che permette di aggiungere al proprio audio dei suoni fastidiosi (come quelli di avori o di un cane che abbaia o, ancora, l’eco della propria voce) o delle interferenze, in modo da avere una scusa per abbandonare la riunione o per fingere (in modo molto realistico) di aver perso la connessione.

Non si possono tuttavia negare i vantaggi dell’utilizzo di piattaforme di videoconferenza, specialmente in un momento come quello che si sta attraversando: diversi esperti di salute mentale infatti sostengono l’utilità delle videochiamate per mitigare il senso di isolamento e per rafforzare i rapporti tra i colleghi, nell’impossibilità di incontrarsi di persona. Gli studi menzionati, però, fanno luce sull’esistenza di alcuni effetti potenzialmente nocivi di questa tecnologia e, quindi, sul bisogno di studiare e di riflettere di più su cosa significhi utilizzare questi strumenti in maniera adeguata.

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