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Religione e digitale: un binomio complesso che non ha a che vedere solo con il parlare di fede sui social

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Religione e digitale può significare parlare di fede sui social, ma anche usare ambienti digitali e gamification per evangelizzare: un approfondimento.

Pasqua 2020 sarà ricordata come la prima dai riti della Settimana Santa a porte chiuse e in diretta sui canali social. La pandemia di coronavirus, del resto, ci ha abituato a gesti eccezionali come il messaggio Urbi et Orbi di Papa Francesco in una Piazza San Pietro completamente deserta, la prima ostensione in streaming della Sacra Sindone, i funerali delle vittime di COVID-19 in diretta dalle pagine Facebook delle parrocchie. Il rapporto che lega religione e digitale, però, è meno emergenziale e, certo, più antico delle misure restrittive a cui sono sottoposte in questi giorni le città di (quasi) tutto il mondo.

Religione e digitale: com’è cambiato nel tempo il rapporto tra fedeli e risorse in Rete

Già nel 2002, secondo il Pew Research Center, almeno un internauta abituale su quattro utilizzava Internet per cercare informazioni di tipo religioso-spirituale. Chi ha studiato più da vicino questi “religion surfers” (E. Larsen, “CyberFaith: how americans pursue religion online“, 2004) ha sottolineato come, se c’è una maggioranza di credenti che cerca in Rete informazioni sul proprio stesso credo, per almeno un religioso su due fare ricerche su Internet significhi anche potersi informare su altre tradizioni religiose e ciò si traduce, per tre credenti su dieci, in un miglioramento della propria vita spirituale e, addirittura per sei credenti su dieci, in un’occasione per maturare una maggiore tolleranza interconfessionale. Se molte ricerche su slacktivism e attivismo politico hanno dimostrato una forte correlazione diretta tra attivismo online e attivismo “di piazza”, anche per molti internauti religiosi poter coniugare religione e digitale, ossia poter vivere la propria fede online e nei modi più diversi, funzionerebbe da propulsore per una maggiore partecipazione e un maggiore impegno anche fisico all’interno della propria comunità.

Certo, se un decennio fa i religion surfers sfruttavano Internet soprattutto per inviare richieste di preghiera via email (lo avrebbe fatto più di un credente su tre), oggi la cosiddetta cyberreligion si vive anche e soprattutto sui social. Mentre i fedeli indù usano app per ordinare riti purificatori – ovviamente a pagamento – che si svolgono fisicamente nei maggiori templi indiani ma che possono essere comodamente seguiti anche dallo smartphone, i fedeli cristiani cattolici devono “accontentarsi” spesso di unirsi ai gruppi di preghiera su Facebook, di seguire le pagine parrocchiali o, nei casi più fortunati, di impostare tra gli account preferiti quelli del proprio parroco “nerd”. Se è vero, infatti, che già qualche anno fa il 70% delle chiese italiane era dotato di una connessione a Internet e quasi una chiesa su cinque aveva un sito web (R. Marchetti, “Sagrati virtuali: nuove relazioni online“, 2009), non è difficile immaginare una sorta di digital divide a sfavore di parroci anziani, a guida di piccole comunità religiose in territori impervi della penisola italiana, dove già una connessione a banda larga è un miraggio e il bisogno di una presenza digitale per la propria parrocchia diventa decisamente secondario.

Il Papa più social di sempre e come la Chiesa (cattolica) vive il proprio rapporto coN IL digitale

Questo non vuol dire comunque che il grande tema religione e digitale non sia, da tempo, oggetto di riflessione da parte dei vertici della Chiesa cattolica (che ha anzi, tra le altre cose, un servizio per l’Apostolato digitale per esempio, il cui compito principale è quello di riflettere «con un’ottica di fede» sulla cultura digitale).

Lo stesso Papa Francesco non ha perso occasioni per riflettere sugli effetti che hanno i social su ogni aspetto della vita quotidiana, spiritualità inclusa. Come non ricordare, in questo senso, soprattutto alcune metafore originali usate dal Pontefice: come quella volta in cui definì il creato «il social di Dio», per ricordare l’importanza di mettersi in comunicazione con Dio a partire dalle cose della natura che si hanno intorno, o quando durante l’ultima Gionata Mondiale della Gioventù definì la Madonna una «influencer di Dio».

Parole come queste potrebbero sembrare suggerire una certa diffidenza nei confronti delle reti digitali e dei fenomeni che si generano al loro interno, di certo c’è che Papa Bergoglio di “primati digitali” ne conta personalmente molti. È stato il primo papa «a programmare un’app», come hanno titolato molti giornali, anche se si è trattato più a rigore di scrivere una riga di codice per un’applicazione dedicata agli obiettivi sostenibili dell’ONU durante un convegno dedicato all’apporto che il coding può avere per la pace. Soprattutto, è il Papa da oltre diciotto milioni di follower su Twitter (ad aprile 2020) su un profilo ufficiale, @Pontifex, ereditato dal predecessore Ratzinger: la Santa Sede, del resto, sembra aver imitato la strategia digitale della presidenza USA che a ogni nuovo mandato prevede tra le altre cose anche un passaggio di consegne dei social della Casa Bianca.

religione e digitale papa francesco su Twitter

Attivo dal momento dell’elezione, il profilo ufficiale di Papa Francesco su Twitter, @Pontifex, è uno dei più seguiti a livello globale e twitta, in inglese, riflessioni su temi di fede o legate a festività religiose e calendario ecclesiastico.

Non su Instagram, però, dove Papa Bergoglio è @Franciscus, ha quasi sette milioni di follower di tutte le nazionalità e un fitto piano editoriale in almeno sette lingue diverse e che include post e Storie con cui raccontare appuntamenti ufficiali e (pochi, per la verità) dietro le quinte della vita a Santa Marta.

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EN: Together against trafficking. Only together can we defeat this scourge and protect the victims. Prayer is the strength that sustains our commitment. #PrayAgainstTrafficking ES: ¡Juntos contra la trata! Solo juntos podemos derrotar esta plaga y proteger a las víctimas. La oración es la fuerza que sostiene nuestro compromiso. #PrayAgainstTrafficking PT: Juntos contra o tráfico. Somente juntos podemos derrotar esse flagelo e proteger as vítimas. A oração é a força que sustenta nosso compromisso. #PrayAgainstTrafficking IT: Insieme contro la tratta. Solo insieme possiamo sconfiggere questa piaga e proteggere le vittime. La preghiera è la forza che sostiene il nostro impegno. #PrayAgainstTrafficking FR: Ensemble contre la traite. Ce n'est qu'ensemble que nous pourrons vaincre ce fléau et protéger les victimes. La prière est la force qui soutient notre engagement. #PrayAgainstTrafficking DE: Gemeinsam gegen den Menschenhandel. Nur gemeinsam können wir diese Plage besiegen und die Opfer schützen. Das Gebet ist die Kraft, die unseren Einsatz stützt. #PrayAgainstTrafficking

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Perché parlare di fede sui social network non è l’unica declinazione possibile del binomio religione e digitale

Non è un caso, così, che qualcuno abbia indicato proprio Papa Francesco quando interrogato su chi fossero i propri ” influencer ” religiosi. Sul podio, subito dopo di lui, Paolo Coelho e il Dalai Lama: segno forse che, soprattutto quando si guarda ai più giovani, non si tratta tanto di vivere anche attraverso piattaforme e strumenti digitali la propria religiosità, quanto di ritrovare tracce digitali di una più generica spiritualità. La stessa ricerca in questione (“La fede dei giovani e i loro influencer sui social network”, svolta da Aleteia nel 2017) ha rivelato che solo il 4% dei giovani utilizza le reti social per parlare di religione o condividere contenuti che riguardano il proprio credo. Forse perché quelle a tema religione annoiano come annoiano le conversazioni sui social a tema politica? O perché, e lo dimostrano anche le numerose ricerche sull’utilizzo dei social network durante la pandemia da coronavirus, degli ambienti digitali si fa perlopiù un uso ricreativo e d’intrattenimento? La risposta che sembrano essersi dati questi studiosi è che non è tanto astio o ostilità a impedire ai più giovani di parlare di religione sui social, quanto una certa “indifferenza” verso il tema.

Indifferenza davanti alla quale chi intenda sfruttare ambienti e strumenti digitali per evangelizzare – o, più in generale, per diffondere un qualche messaggio religioso – farebbe meglio a giocare di creatività, sperimentando linguaggi nuovi e, per certi versi, meno retrò di quelli della tradizione religiosa. Lo sanno bene, per esempio, i fondatori di Alabaster, casa editrice religiosa nata letteralmente per la “generazione Instagram”: i due si accorsero – o, perlomeno, è questa la versione romanzata dei fatti – che tra le principali ragioni che rendevano difficile far leggere ai giovani La Bibbia, i Vangeli o altri testi sacri c’erano formati editoriali ormai antiquati e poco adatti ai gusti estetici di una generazione cresciuta, appunto, con gli scatti quadrati delle istantanee di Instagram. I testi sacri ristampati dalla casa editrice hanno così uno stile minimalista, quasi «scandinavo» come sottolinea Rivista Studio, tanto che si potrebbe avere persino l’impressione di star leggendo un libro di poesie illustrato.

religione e digitale la bibbia versione Instagram

Il libro dei Salmi, nella versione “instagrammabile” stampata dalla casa editrice Alabaster.

religione e digitale i testi sacri per instagram

E a proposito di linguaggi nuovi, c’è persino un videogioco open world come “I am Jesus Christ” che sfrutta la gamification come chiave per declinare il rapporto religione e digitale. Ai giocatori spetta il ruolo di vestire i panni del Gesù di Nazareth raccontato dalle Sacre Scritture e di provarsi, come in un vero e proprio simulatore, in miracoli e – per restare in tema di Quaresima e Settimana Santa – lotte contro il diavolo, con tanto di derive fantasy di super poteri derivanti dallo Spirito Santo, e ultime cene.

I Am Jesus Christ – official trailer
I Am Jesus Christ - official trailer

Da qualche parte (su Reddit in particolare) non mancano generatori di meme cristiani. E non si tratta dei meme glitterati e luccicanti con cui gli utenti senior chiedono sui feed social preghiere e protezione ai santi a cui sono più devoti, quanto di meme a tratti “più colti” e che in non pochi casi propongono riflessioni su questioni di fede tutt’altro che banali. Il paragone con la politica è, ancora una volta, più che mai funzionale: se con il polbusting abbiamo imparato a esprimere, ridendo, e a combattere per le nostre opinioni politiche, anche un meme può rendere divertente e, soprattutto efficace, parlare di religione negli ambienti digitali.

religione e digitale meme

Meme divertenti e ironici sono spesso condivisi dai fedeli sui social network o diventano virali nei gruppi Facebook dedicati alla preghiera per la capacità che hanno di far riflettere, ma con leggerezza, sulle proprie convinzioni e abitudini spirituali.

La commistione di serio e scherzoso è, del resto, tratto segnante di tanta fenomenologia dei social network. Non è difficile, così, imbattersi anche nei gruppi su Facebook parrocchiali o dedicati alla preghiera in meme su Papa Francesco: abbondantissimi, peraltro, forse anche in virtù della personalità del Pontefice. Né stupisce che il suo schiaffetto irato sulla mano della fedele cinese insistente abbia dato vita a un numero spropositato di GIF ironiche e divertenti, diventate virali e apprezzate anche tra i cyberfedeli o che, addirittura, qualcuno abbia pensato di trasformarlo in un videogioco in stile street fighter.

IL PAPA SCHIAFFEGGIA UNA FEDELE

Abbiamo creato un videogioco sul Papa che schiaffeggia una fedele#papa #papaschiaffeggiafedele

Posted by Amarcord on Thursday, January 2, 2020

Ci sono influencer religiosi (E CHI SONO)?

Dell’importanza di questa commistione, della necessità di mischiare cioè contenuti di natura diversa e dai toni differenti, devono essersene resi ben conto alcuni dei più seguiti influencer religiosi. Influencer religiosi che, al contrario di quanto i più giovani siano disposti ad ammettere, non sono solo grandi leader spirituali come il Papa o il Dalai Lama. Sono preti appassionati di crossfit, come Padre Oskar, il pastore luterano presto ribattezzato dalla Rete come “il prete sexy di Instagram” (il profilo @crossfitpriest risulta, però, ad aprile 2020, chiuso, ndr) o volti noti del piccolo schermo italiano come don Davide Banzato che, su Instagram, alterna momenti di racconto della vita di tutti i giorni in una comunità religiosa di recupero a momenti decisamente più d’intrattenimento, fatti di dirette e live con la partecipazione di cantanti o personaggi televisivi.

Su Twitter, invece, seguire don Dino Pirri per esempio vuol dire tanto avere #spoileromelia quanto guardare a religione e spiritualità a volte con leggerezza e ironia, a volte persino con un pizzico di polemica.

C’è chi le conosce, infine, come le Media Nuns (letteralmente le “suore dei media”: è questo il nome che hanno scelto come insegna della propria presenza sui social), un gruppo di suore paoline americane che, proprio come la maggior parte degli utenti social, usano i propri feed – Instagram soprattutto – per un live stream delle proprie giornate fatte di preghiere ma anche di tanti momenti di convivialità e, perché no, di pause pranzo al fast food.

Robot e realtà virtuale al servizio della fede

Nessun discorso su religione e digitale, però, sarebbe completo se non si facesse almeno accenno a come anche robotica, realtà aumentata e realtà virtuale stanno cambiando il modo di vivere la spiritualità. Fu il buddismo, come ricostruisce ancora Rivista Studio, a sfruttare per primo dei ministranti robot: era il 2015 e l’obiettivo era ridurre i (notevoli) costi delle tradizionali cerimonie funebri. Due anni più tardi arrivò Mindar, il robot buddista dal corpo di alluminio e silicone e dalle fattezze della dea della compassione, addestrato grazie al machine learning a rispondere ai dubbi spirituali dei fedeli e alle loro preghiere.

religione e digitale mindar robot buddista

Si chiama Mindar, ha le fattezze di Kannon, la dea della compassione, ed è il primo robot buddista.

Da allora il numero di sacerdoti robot è aumentato in tutte le religioni e i loro compiti hanno cominciato a spaziare dall’impartire benedizioni ai fedeli all’offrire conforto spirituale soprattutto ad anziani e persone impossibilitate a raggiungere fisicamente chiese e altri luoghi di culto. Certo, soprattutto per la Chiesa cattolica la possibilità di partecipare in remoto a funzioni e momenti cardine del calendario liturgico è ancora una questione (ampiamente) discussa. Mentre il dibattito teorico si interroga, però, su che valore possano avere per esempio i sacramenti ricevuti via televisione o Internet, è almeno dai tempi di Second Life che i mondi virtuali sono popolati da fedeli e che questi si raggruppano in chiese e gruppi di preghiera 2.0 per replicare, anche nella loro seconda vita online, le proprie abitudini religiose. VR Church, su AltSpaceVR, è invece la prima chiesa in realtà virtuale e frequentabile comodamente da casa e grazie a un visore come ormai se ne trovano facilmente in commercio: ci sono appuntamenti fissi e settimanali, come quello con il sermone del Pastore D.J. Soto che l’ha fondata, ma ogni fedele vi si può recare quando vuole per pregare, incontrare altri fedeli o vivere in solitudine la propria spiritualità.

religione e digitale chiesa realtà virtuale

VR Church è la prima chiesa in realtà virtuale fondata su AltSpaceVR e frequentabile comodamente da casa e con un visore.

Come racconta la BBC, del resto, queste soluzioni virtuali sono ideali per riavvicinare alla fede anche i più scettici, chi ha remore a recarsi dal vivo in Chiesa perché non ama vincoli o appuntamenti comandati ma, anche, chi ha disturbi fisici o della sfera psichica che gli impediscono di vivere tranquillamente e vis-a-vis i momenti collettivi di spiritualità per esempio.

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