Remix culture
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Significato di Remix culture
L’espressione Remix culture è utilizzata in riferimento a una società che permette e incoraggia l’utilizzo di materiale creativo già esistente (immagini, brani testuali, audio, frammenti video, ecc.) per dar vita a nuove opere dell’ingegno. È l’idea stessa di creatività che ne risulta intaccata, così come la disciplina del diritto d’autore.
Alcune premesse teoriche al remix culturale
L’idea del genio creativo, infuso dall’alto e solo a pochi scelti, è stata del resto presto superata in letteratura dalla consapevolezza che la maggior parte delle opere dell’ingegno sono frutto, in realtà, di un continuo lavoro di rielaborazione, ri-creazione e remix appunto di idee e opere già esistenti. Basti pensare a grandi classici come l’Odissea: nessuno mette più in dubbio che l’opera attribuita a Omero sia, in realtà, un remixaggio e una messa in buona forma di temi, situazioni e topoi narrativi tipici e fino lì tramandati dalla tradizione orale. Nei primi anni del Novecento furono soprattutto delle avanguardie artistiche ad appropriarsi di grandi successi artistico-letterari in maniera provocatoria: si pensi, a proposito, alla famosa Monna Lisa con i baffi di Marcel Duchamp. La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte (Benjamin, 1935), ossia il sistema dell’ industria culturale che produce in serie anche le opere dell’ingegno, e ancor più gli ambienti digitali e alcune pratiche caratteristiche di chi li abita hanno reso evidente e prioritario proprio il tema del remix culturale.
![remix culture gioconda duchamp](https://www.insidemarketing.it/wp-content/uploads/2019/10/remix-culture-gioconda-duchamp.jpg)
L.H.O.O.Q, la famosa Gioconda con i baffi di Duchamp, è un esempio perfetto per spiegare che la cultura del remix ha sempre avuto importanza in campo creativo e sia in realtà più vecchia della formulazione teorica a opera di Lawrence Lessig. Fonte: Wikimedia
Remix culture: cos’è secondo la teoria di Lessig
In tempi più recenti, così, Lessig ha teorizzato, descritto e analizzato le conseguenze della remix culture all’interno di un omonimo saggio (Lessig, 2009). A partire dal ruolo attribuito al fruitore, al consumatore di opere dell’ingegno, lo studioso distingue tra una cultura read only e una cultura read/write.
La read only culture è quella del sistema mediatico tradizionale: c’è una netta separazione tra chi crea contenuti e chi li consuma e, soprattutto, un flusso unidirezionale tra un polo e l’altro di questa catena produttiva. È una condizione resa inevitabile dal fatto che i mezzi di produzione sono costosi e non accessibili a tutti, dall’esistenza cioè di forti barriere all’entrata.
Al contrario, nella read/write culture c’è un interscambio continuo tra produttori e consumatori di contenuti. Anzi, è proprio la distinzione tra produttore e consumatore che viene meno nella tanto discussa figura del prosumer. Alla base di questo c’è, certo, una maggiore accessibilità ed economicità dei mezzi di produzione diventati di massa e per la massa (Castells, 2014) ma, anche, una cultura della partecipazione che incita ciascuno, in base alle capacità e al tempo libero su cui po’ contare, a creare. Anche opere che siano appunto un remix di idee, situazioni narrative, immagini, suoni già creati da altri e di cui l’autore si impossessa per rielaborarle secondo la propria personale sensibilità. L’espressione remix culture, del resto, fa riferimento anche e soprattutto a un immaginario collettivo, a un’enciclopedia condivisa, continuamente chiamati in ballo e rimestati nel processo creativo, fino ad arrivare all’ipotesi – estrema, ma non così remota – che non possano più esistere opere originali e create ex novo, ma solo opere derivate da altre già esistenti.
Gli effetti di una cultura del remix: dall’idea di creatività al diritto
Non è difficile immaginare che gli effetti siano sistemici e coinvolgano l’intera industria creativa. Allargando innanzitutto il bacino di potenziali creativi: dismesso l’alone di dono e talento divino, la creatività diventa un attributo democratico, un processo che qualcuno sintetizza nella formula «copy, transform, combine» (Ferguson, 2011).
![remix culture formula creatività ferguson](https://www.insidemarketing.it/wp-content/uploads/2019/10/remix-culture-formula-creatività-ferguson-620x212.png)
Nella prospettiva di una cultura del remix, secondo studiosi come Ferguson, la formula della creatività consiste nel “copiare, trasformare, combinare”. Fonte: Wikimedia
Se chiunque può creare remixando pezzi di cultura condivisa, non è detto certo che si riesca a garantire sempre la buona qualità del prodotto finale: va da sé che all’interno di una grande mole di prodotti culturali creati e ri-creati a partire da elementi già confezionati e pronti all’uso ce ne siano di esteticamente sgradevoli o qualitativamente infimi; è altrettanto vero, però, che le inspiegabili leggi della viralità tendono a premiare, tra tutti, i prodotti migliori, quelli che hanno la qualità di un prodotto professionale nonostante un’origine amatoriale (condizione per cui la cultura digitale ha inventato l’attributo di pro-am; Keen, 2011).
Anche il concetto di originalità, come tradizionalmente inteso, sembra perdere valore nella prospettiva di una cultura del remix: nessun’opera è, infatti, veramente originale e tutte sono copiate, almeno in parte, da prodotti culturali già esistenti, se non già molto popolari. Ci potrebbe essere, in questo senso, persino una ragione neuroscientifica nel successo e nel gradimento diffuso di tutto ciò che è remixato dal già visto, dal già letto, dal già sentito: il cervello umano, infatti, ama le ripetizioni e tutto ciò che non è completamente nuovo ha un valore rassicurante e confortante.
Ciò che la remix culture mette più in discussione, comunque, è il diritto d’autore, come classicamente formulato. Spesso a essere prese in prestito per diventare oggetto di operazioni creative sono, infatti, opere dell’ingegno, in quanto tali coperte da copyright. Non è detto, anzi quasi mai accade, che l’utente che utilizza immagini, suoni, testi coperti da fee goda delle necessarie licenze. Né che, anche nei paesi in cui è previsto, il fair use (un istituto, tipico del diritto americano per esempio, che permette il libero utilizzo di opere coperte da copyright quando lo scopo è educativo, informativo, ecc.) basti sempre a giustificare l’appropriazione. Secondo i sostenitori della cultura del remix, così, dovrebbe essere l’industria culturale, l’industria dei media a riadattarsi e ad assumere un atteggiamento meno inflessibile riguardo appunto al riutilizzo creativo delle opere dell’ingegno. Importanti passi avanti rispetto a quello che la stessa Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale ha definito «il dilemma del copyright» sono stati già fatti, comunque, grazie alle licenze Creative Commons.
![remix culture e creative commons](https://www.insidemarketing.it/wp-content/uploads/2019/10/remix-culture-e-creative-commons.png)
La “nuova” cultura del remix ha ispirato, tra le altre cose, il sistema di licenze Creative Commons.
Campi d’applicazione ed esempi di remix culture
La cultura del remix, del resto, è ormai così diffusa che un atteggiamento protezionista da parte delle media company e di qualsiasi altro soggetto possessore dei diritti d’autore risulterebbe sterile. Oggi si fa remix di forme, stilemi, prodotti già esistenti e spesso di successo in davvero tutti gli ambiti. Si pensi a due artisti, almeno all’apparenza piuttosto diversi tra loro, ma entrambi diventati popolari anche e soprattutto grazie alla Rete, come Banksy e TheAndré: il primo, in un graffito come quello della Madonna con la pistola di Napoli, ha remixato forme classiche dell’arte sacra con un’estetica decisamente più pop; il secondo reinterpreta in stile De André le canzoni della trap, creando una sorta di cortocircuito che è caratteristico della maggior parte delle operazioni di remix.
![remix culture banksy](https://www.insidemarketing.it/wp-content/uploads/2019/10/remix-culture-banksy-620x827.jpg)
I tanto amati graffiti di Banksy, come del resto la maggior parte della street art, “remixano” generi e stilemi molto diversi tra loro: nella Madonna con la pistola di Napoli, per esempio, l’arte sacra incontra temi e forme decisamente più pop.
![The Andre canta Nove Maggio (Liberato cover)](https://www.insidemarketing.it/wp-content/uploads/videoArk/Pij6Veromfg.jpg)
L’arte grafica e la musica sono tra gli esempi più classici e di letteratura quando si vuole spiegare cos’è e come funziona la remix culture. Neanche il cinema è da meno: mashup e found footage sono piuttosto frequenti e non solo nel cinema di sperimentazione. In letteratura, la fan fiction – ossia l’utilizzo di personaggi, ambienti, situazioni letterarie tipiche di una saga per esempio per sue riscritture alternative e non ufficiali – è una delle espressioni più significative della fandom culture. Remixaggi tipici di ambienti digitali come forum e social network sono, invece, meme e gif: ormai entrati di diritto anche nelle strategie di comunicazione aziendali e di leader e attivisti politici, sono immagini divertenti e piccole animazioni create, appunto, a partire da e che attingono a un immaginario pop e condiviso dagli internauti.
In ambito aziendale una manifestazione, seppure a tratti preoccupante, della cultura del remix potrebbe essere il cosiddetto brand hijacking : in questo caso è il messaggio del brand che viene ripreso, rivisitato, riutilizzato in ambiti non di rado completamente diversi da quello originale. C’è infine chi sostiene, non a torto, che la cultura del remix abbia molto a che vedere con quella dell’open source e che forme primarie di remixaggi furono proprio i software aperti e liberamente modificabili.