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Facebook non farà più fact-checking sui post dei politici e le ragioni non sono quelle che sembrano

Facebook non farà più fact-checking sui post dei politici

Su Facebook non sarà fatto più fact-checking sui post dei politici per favorire imparzialità e trasparenza del discorso pubblico.

Facebook non farà fact-checking sui post dei politici. C’è anche questa tra le novità annunciate a The Atlantic Festival ed è una novità che sembra mettere anche quella di Zuckerberg sulla via già intrapresa da altre piattaforme digitali come Twitter, che da tempo non cancellano i contenuti inappropriati pubblicati da leader e personaggi politici per non interferire con il libero dibattito politico.

È proprio quella di un campo da tennis livellato, del resto, la metafora utilizzata dal VP of Global Affairs di Palo Alto per spiegare la decisione di non fare fact-checking sui post dei politici: Facebook ha il dovere di fare di tutto perché lo spazio in cui avviene il dibattito politico sia il migliore possibile ma non «può prendere in mano la racchetta e mettersi a giocare», così come non può interferire su come gli attori politici decidono di condurre il gioco.

Cosa significa che Facebook non farà fact-checking sui post dei politici

Fuor di metafora, ciò significa che Facebook non farà passare i post dei politici – siano essi post organici o sponsorizzati – dal vaglio del team di fact-checker terzi a cui si affida ormai da qualche tempo per scoraggiare la diffusione notizie manipolate o non verificate e per garantire qualità e salubrità dell’ambiente informativo al suo interno.

Ciò non significa ovviamente – ci tengono a precisare da casa Zuckerberg – che, se un post pubblicato da un politico contiene informazioni, video, link o altri contenuti multimediali che sono stati già oggetto di debunking e si sono rivelati controversi, Facebook non potrà applicare strategie come penalizzarlo nel ranking, mostrare dettagli e informazioni aggiuntivi che chiariscano meglio il contesto o rifiutare le richieste di sponsorizzazione.

Non sottoporre direttamente al fact-checking i post dei politici, cosa che potrebbe portare del resto all’esito drastico della loro cancellazione, è una scelta che ha a che vedere con l’interesse pubblico dei contenuti in questione, chiariscono ancora da Facebook. Un elettore ha il diritto di farsi un’idea completa delle posizioni politiche di un candidato, così come un candidato politico deve assumersi la responsabilità di ogni contenuto che condivide, anche il più controverso: l’intervento di terzi, per quanto finalizzato a limitare la diffusione di fake news e misinformazione, altera questo equilibrio democratico. Nel decidere di non fare fact-checking sui post dei politici, insomma, ci sono due beni tra cui si cerca di bilanciare: la notiziabilità e l’interesse pubblico del contenuto o della posizione espressa e i rischi – di avvelenare con toni polemici, linguaggio offensivo e hate speech – a essi legati. In più la piattaforma si impegna a prendere in considerazione fattori non indifferenti come il clima politico della singola nazione, la vicinanza di competizioni elettorali o uno stato di guerra, per esempio.

Facebook, le altre media company e la sfida di un discorso pubblico imparziale

Dopo le pressioni dell’Europa ai big del digitale per assicurare un clima elettorale sereno durante le europee del 2019, del resto, il vero banco di prova per Facebook e co. saranno le prossime presidenziali americane del 2020.

Consapevoli del non indifferente ruolo giocato dai social per l’elezione di Trump e scottate dallo scandalo Cambridge Analytica non è casuale che le tech company provino a rispondere – e ad arginare, sarebbe il caso di dire – ai dubbi rispetto alla privacy, alla par condicio, alle regolarità delle operazioni di voto che vengono sollevati tanto dagli elettori, quanto da autorità e pubblici decisori. Nel caso di Facebook, per esempio, rendere più trasparenti i meccanismi pubblicitari va in questa direzione e solo apparentemente non fare fact-checking sui post dei politici non sembra farlo: come ha mostrato anche la reazione alla chiusura delle pagine fasciste e di estrema destra su Facebook, c’è una crescente preoccupazione infatti rispetto all’ingerenza di media company private, come lo sono i grandi gruppi digitali, sul discorso e sulla sfera pubblica.

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