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Il successo dello streaming televisivo in Italia sta cambiando anche il modo di fare, oltre che di vedere, la TV?

Streaming televisivo in Italia: dati 2019 e prospettive

Il successo dello streaming televisivo in Italia, segnato da dati come quelli di Toluna, è destinato a cambiare per sempre il modo di fare TV.

Ci sono binge watcher che fanno incetta di serie tv, spettatori occasionali che aspettano l’uscita in catalogo dei più famosi best seller, utenti che hanno all’attivo abbonamenti su più piattaforme diverse e altri che, invece, sfruttano soprattutto le opportunità gratuite. I dati sullo streaming televisivo in Italia, però, non lasciano spazio a interpretazioni: il modo in cui gli italiani guardano la televisione è notevolmente cambiato e, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è un cambiamento che riguarda solo i giovani. Secondo un’indagine di Toluna, infatti, nove italiani su dieci guardano film, serie TV e programmi televisivi online.

Più nel dettaglio, oltre la metà dei 18-34enni guarda ogni giorno contenuti televisivi online e quasi un over 55 su due dice di approfittare delle opportunità che vengono dalla TV on demand più volte durante la stessa settimana.

Lo streaming televisivo in Italia sta cambiando il modo di fare TV? La strana cosa tra Netflix e Mediaset

Non è difficile immaginare come questa popolarità dello streaming televisivo in Italia abbia costretto anche i soggetti più tradizionali del broadcasting a rivedere le proprie strategie – di comunicazione, di palinsesto, di gestione dei diritti televisivi – e che quella verso cui ci si sta muovendo sia una vera età della convergenza. Un esempio vale su tutti: la strana – almeno se vista nell’ottica della vecchia televisione –  partnership tra Netflix e Mediaset per il lancio della nuova stagione di Stranger Things. La serie è una delle più amate dagli abbonati Netflix e Netflix non è nuova, del resto, a campagne di comunicazione a effetto wow“, come è stato per esempio anche l’ambient marketing per la terza stagione de La casa di carta. In questo caso l’investimento è stato ancora più consistente: la piattaforma, infatti, avrebbe affittato un’intera giornata di palinsesto di Italia 1 perché venissero trasmessi grandi cult degli anni Ottanta, da I Goonies a It, e i fan in attesa del nuovo capitolo di Stranger Things potessero immergersi di nuovo nell’atmosfera della serie. Niente è stato lasciato al caso, neanche il modo in cui è stato annunciato questo take over della seconda rete Mediaset: un promo che avvertiva che «gli anni ’80 stanno per tornare» e che mostrava solo il famoso logo della rete televisiva capovolto e ridisegnato con font e colori tipici della serie accompagnato dall’hashtag #Stanger80s è stato mandato in onda pochi giorni prima del 3 luglio 2019 su Italia 1 ed è apparso sui canali social di Netflix, alimentando l’aura di mistero sulla serie.

Molti professionisti del settore non hanno potuto non notare l’alto potenziale strategico dell’operazione, che a guardare bene sembra vincente tanto per Netflix quanto per Mediaset.

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Posted by Andrea Fontana on Wednesday, July 3, 2019

La prima, infatti, non ha avuto solo modo di prolungare in un altro ambiente e verso altre occasioni d’uso l’esperienza targata Stranger Things, ma ha avuto modo soprattutto di rivolgersi a un target in parte diverso dal suo ma comunque affine per età, caratteristiche socio-demografiche, gusti: non solo, infatti, la seconda rete Mediaset è da sempre la rete giovane del gruppo, ma c’è ormai una vera e propria generazione Mediaset, cresciuta appunto negli anni Ottanta guardando i programmi della Rete, per cui può risultare particolarmente riuscito un marketing della nostalgia ispirato ai successi del tempo. Quanto a Mediaset-Italia 1, vantaggio economico a parte, si è trattato di poter riutilizzare film e prodotti in archivio da tempo, a costo zero anche sotto il profilo di royalty e diritti televisivi, inserendoli in una cornice tematica che li valorizzasse, svecchiando la propria immagine e legandosi ancora di più al proprio pubblico di riferimento.

Piattaforme, contenuti, utenti della televisione online e on demand: una panoramica

Quando si tratta di Netflix, del resto, non si dovrebbe dimenticare che è una una delle – se non la – piattaforme più amate anche dagli affezionati dello streaming televisivo in Italia. Per tornare ai dati di Toluna, infatti, Netflix è la prima scelta per il 46% degli italiani, percentuale che sale al 59% se si considera solo la fascia più giovane di internauti. Il secondo e terzo posto sul podio delle piattaforme di streaming più utilizzate sono di Amazon Prime Video (prima scelta, comunque, di appena il 27% degli intervistati) e Sky Go (19%).

La mancanza in questa classifica di servizi free suggerisce che gli italiani sono sempre più disposti, rispetto a qualche anno fa almeno, a pagare per fruire di contenuti televisivi online. Sei italiani su dieci addirittura avrebbero regolari abbonamenti su più piattaforme di streaming televisivo diverse. Ciò non toglie che anche YouTube, RaiPlay o Mediaset Play giochino un ruolo importante nel panorama della fruizione online e on demand di contenuti televisivi: pur con le dovute differenze – il servizio online dell’emittente pubblica è utilizzato, per esempio, più dagli over 55, mentre il competitor di casa Mediaset attrae soprattutto giovani e pubblico femminile – però servizi come questi sono utilizzati soprattutto per il rewatch di contenuti già visti o che è impossibile trovare altrove.

Chi guarda le televisione in streaming in Italia, comunque, guarda soprattutto film (lo farebbe il 69% del campione Toluna), serie TV (68%) e programmi televisivi (48%), con un long form come quello della pellicola cinematografica appunto che sembra piacere indipendentemente dall’età dello spettatore (lo sceglie, infatti, l’80% dei giovani tra i 18 e i 34 anni, così come oltre il 60% della Gen X).

Decisamente meno amata la pubblicità utilizzata soprattutto all’interno dei servizi freemium di streaming televisivo: un italiano su due dice di non gradirla, anche se non è disposto per questo a pagare per non vederla. I giovani più degli anziani (con percentuali del 44% contro il 37%) skipperebbero promo e commercial indipendentemente dal loro contenuto e dalla loro durata; vale la pena sottolineare in questo senso, però, che per oltre un quarto del campione Toluna la durata massima di uno spot non dovrebbe superare i 15 secondi. Ci sarebbe, infine, una marcata differenza di genere nell’efficacia e nella ricettività del messaggio pubblicitario: se una donna su due dice infatti di non aver mai visitato il sito di un prodotto pubblicizzato mentre guardava contenuti televisivi in streaming, un uomo su due lo avrebbe fatto.

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