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"Decreto Dignità" e gioco d'azzardo: la nuova normativa per la pubblicità

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È entrato in vigore il cd. Decreto Dignità che interviene, tra l'altro, sulla pubblicità del e al gioco d'azzardo: eccone i contenuti

Con la Legge 9 agosto 2018, n. 96 il Parlamento ha convertito il Decreto-Legge 12 luglio 2018, n. 87, più noto con l’impegnativo appellativo di “Decreto Dignità“. Si tratta, a ben vedere, del primo intervento normativo di significativa portata con cui si sono cimentate le nuove Camere, dopo le elezioni politiche del marzo 2018, ed il nuovo Governo, nominato – dopo non poche turbolenze – diverse settimane dopo. Il provvedimento, allora, proprio per il suo status di primigenia, può utilmente considerarsi come metro delle priorità che la nuova maggioranza politica ha deciso di individuare. Del resto, la particolare sensibilità rispetto alle tematiche in predicato è rimarcata dal fatto per cui il Governo, che di quella compagine politica è espressione, ha deciso di intervenire mediante un decreto-legge, stimando quindi sussistenti condizioni straordinarie di necessità e urgenza tali da non consentire di intraprendere (e attendere) l’iter parlamentare necessario per l’adozione di una Legge ordinaria, necessitando invece un intervento immediato.

In linea complessiva, comunque, le finalità perseguite dalla novella sono tre:

  • attivare con immediatezza misure a tutela della dignità dei lavoratori e delle imprese, introducendo disposizioni per contrastare fenomeni di crescente precarietà in ambito lavorativo, mediante interventi sulle tipologie contrattuali e sui processi di delocalizzazione, a salvaguardia dei livelli occupazionali e operando semplificazioni fiscali per professionisti e imprese;
  • introdurre strumenti volti a consentire un efficace contrasto alla ludopatia;
  • adottare misure ai fini del regolare inizio dell’anno scolastico 2018/2019.

Sebbene si tratti di tematiche tutte di grande importanza, ci si soffermerà sulle previsioni relative al contrasto alla ludopatia, in quanto a tale scopo sono state dettate misure tali da incidere profondamente sul mercato pubblicitario concernente il gioco d’azzardo.

Gioco d’azzardo: la normativa italiana e I principi europei

Prima di verificare le modifiche apportate dal Decreto Dignità, occorre procedere – quantomeno per sommi capi – ricostruendo la (instabile e frammentaria) disciplina normativa che regola la materia del gioco d’azzardo.

In estrema sintesi, eccettuando per un momento il diverso problema delle scommesse, va detto che, secondo quanto dispone l’art. 110 del TULPS (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza – R.D. 773/1931), si distingue tra giochi d’azzardo vietati e giochi leciti. Di questi ultimi sono specificate le caratteristiche indefettibili, che comprendono, tra l’altro, un attestato di conformità rilasciato dall’AAMS ed il collegamento ad una rete telematica nazionale, oltre al fatto che l’elemento dell’alea non può mai essere unico ed esclusivo, dovendo comunque combinarsi anche con quello dell’abilità del giocatore, il quale deve avere la possibilità di scegliere, all’avvio o nel corso della partita, la propria strategia, selezionando appositamente le opzioni di gara ritenute più favorevoli tra quelle proposte. Inoltre, particolari restrizioni riguardano il costo della singola partita, la durata della partita, i premi erogati e il rapporto tra vincite e somme introdotte (co. 6 – 7). Per i giochi che non risultino vietati dalla legge vige poi un meccanismo di autorizzazioni amministrative (impropriamente definito, anche dal TULPS, “concessioni”): in particolare, ai sensi degli artt. 86-88 TULPS, è necessaria una licenza del Questore per esercitare attività commerciali in cui vi siano «bigliardi o altri giuochi leciti». Detta licenza, nel caso particolare delle scommesse (ovverosia quelle attività basate sulla pura alea, diversamente dai giochi), può però essere rilasciata solo a favore dei soggetti «concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione o gestione delle scommesse, nonché ai soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione». Il sistema delle concessioni relativo alle scommesse, peraltro, è stato al centro di una aspra querelle tra alcuni bookmaker stranieri e le istituzioni italiane, con riflessi sia in sede amministrativa che penale. Questo perché, come ha poi accertato a più riprese la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGCE, 6 novembre 2003, Gambelli et al., C-243/01; CGCE, Grande Sezione, 6 marzo 2007, Placanica et al., cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04; CGUE, IV Sez., sent. Costa e Cifone, 16 febbraio 2012, cause riunite C-72/10 e C-77/10) la disciplina italiana – per le particolari modalità di assegnazione delle autorizzazioni occorrenti per esercitare la raccolta e l’intermediazione di scommesse, che avvantaggiavano i precedenti concessionari rispetto ai competitor e rendevano praticamente impossibile l’accesso ai bandi di assegnazione per alcuni soggetti stranieri in ragione del proprio assetto societario  – risultava in contrasto con gli articoli 49 e 56 TFUE e cioè incompatibile con le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi riconosciuti dai Trattati Europei.

Pur partendo dalla necessità di non violare le libertà riconosciute dai Trattati, per contro, la Cassazione prima (Sez. III, 16 maggio 2012 – ud. 8 febbraio 2012 –, n. 18767) e la stessa Corte di Giustizia poi (CGUE, Sez. III, 22 gennaio 2015, Causa C-463/13) hanno chiarito che per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, espressamente previste dagli articoli 51 TFUE e 52 TFUE (applicabili anche in materia di libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE), o per motivi imperativi di interesse generale (sentenza Digibet e Albers, C-156/13, EU:C:2014:1756) è possibile procedere alla restrizione delle attività connesse al gioco d’azzardo e ciò al fine di tutelare i consumatori, prevenire le frodi e contrastare la tendenza dei cittadini a realizzare spese eccessive legate al gioco.

In linea più generale, comunque, va considerato che la materia del gioco d’azzardo, al di là delle disposizioni di principio appena richiamate, non è stata oggetto di una armonizzazione a opera del legislatore UE e, di conseguenza, ben possono permanere notevoli divergenze normative tra gli Stati Membri derivanti da differenti visioni di ordine morale, religioso e culturale in ordine ai presupposti e alle condizioni di liceità del gioco d’azzardo e delle scommesse. Dunque, in questo specifico settore, le autorità nazionali dispongono di un ampio potere discrezionale per stabilire quali siano le misure che la tutela del consumatore e dell’ordine sociale richiedono di adottare, potendosi giungere a vietare parzialmente o totalmente oppure a imporre più o meno stringenti misure di controllo (v. sentenza Digibet e Albers, EU:C:2014:1756).

La pubblicità del gioco d’azzardo prima del decreto dignità

Richiamata, seppur in misura ampiamente sommaria, la cornice normativa e giurisprudenziale all’interno della quale si inserisce la disciplina del gioco d’azzardo e delle scommesse, verifichiamo quindi entro quali limiti è (rectius era) possibile diffondere messaggi pubblicitari finalizzati alla loro promozione.

Già prima dell’intervento del cd. Decreto Dignità, la disciplina risultava, invero, comunque stringente, specie con riferimento ai minori d’età. E, in particolare, l’art. 7 del Decreto Balduzzi (D.L. 158/2012, convertito con modificazioni dalla L. 189/2012) già prevedeva che fossero vietati messaggi pubblicitari concernenti il gioco con vincite in denaro nel corso di trasmissioni televisive o radiofoniche e di rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte ai minori e nei trenta minuti precedenti e successivi alla trasmissione delle stesse. Veniva inoltre vietata, in qualsiasi forma, la pubblicità sulla stampa quotidiana e periodica destinata ai minori e nelle sale cinematografiche in occasione della proiezione di film destinati alla visione dei minori.

Con previsione di carattere generale, poi, già esisteva una proibizione di tutti quei messaggi pubblicitari su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via Internet contraddistinti da uno o più delle seguenti caratteristiche:

  1. incitamento al gioco ovvero esaltazione della sua pratica;
  2. presenza di minori;
  3. assenza di formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica del gioco e dell’indicazione della possibilità di consultazione di note informative sulle probabilità di vincita pubblicate sui siti istituzionali dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, nonché dei singoli concessionari ovvero disponibili presso i punti di raccolta dei giochi.

La violazione delle norme di divieto appena richiamate comporta(va), sia per il committente del messaggio pubblicitario, sia per il proprietario del mezzo con cui il medesimo messaggio pubblicitario è diffuso, una sanzione amministrativa pecuniaria da 100mila a 500mila euro. La pubblicità dei giochi che prevedono vincite in danaro, poi, deve (e doveva) riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita. Da ultimo, prima del Decreto Dignità, vanno menzionati gli interventi adottati dal Legislatore del 2015 con la legge di stabilità per l’anno 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208). Con tale novella, infatti, la regolamentazione della pubblicità legata al gioco d’azzardo ha assunto connotazioni ancor più stringenti giacché, oltre a imporsi il rispetto dei principi contenuti nella raccomandazione 2014/478/UE della Commissione Europea, si è comunque vietata (art. 1 co. 937) la pubblicità che

  1. incoraggi il gioco eccessivo o incontrollato;
  2. neghi che il gioco possa comportare dei rischi;
  3. ometta di rendere esplicite le modalità e le condizioni per la fruizione di incentivi o bonus;
  4. presenti o suggerisca che il gioco sia un modo per risolvere problemi finanziari o personali, ovvero che costituisca una fonte di guadagno o di sostentamento alternativa al lavoro e non una semplice forma di intrattenimento e di divertimento;
  5. induca a ritenere che l’esperienza, la competenza o l’abilità del giocatore permettano di ridurre o eliminare l’incertezza della vincita o consentano di vincere sistematicamente;
  6. si rivolga o faccia riferimento, anche indiretto, ai minori e rappresenti questi ultimi, ovvero soggetti che appaiano evidentemente tali, intenti al gioco;
  7. utilizzi segni, disegni, personaggi e persone, direttamente e primariamente legati ai minori, che possano generare un diretto interesse su di loro;
  8. induca a ritenere che il gioco contribuisca ad accrescere la propria autostima, considerazione sociale e successo interpersonale;
  9. rappresenti l’astensione dal gioco come un valore negativo;
  10. induca a confondere la facilità del gioco con la facilità della vincita;
  11. contenga dichiarazioni infondate sulla possibilità di vincita o sul rendimento che i giocatori possono aspettarsi di ottenere dal gioco;
  12. faccia riferimento a servizi di credito al consumo immediatamente utilizzabili ai fini del gioco.

È altresì vietata la pubblicità di giochi con vincita in denaro nelle trasmissioni radiofoniche e televisive generaliste, nel rispetto dei principi sanciti in sede europea, dalle ore 7 alle ore 22 di ogni giorno, salvo che per i media specializzati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (art. 1 co. 938).

Le novità apportate dal decreto dignità

Verificato, anche se in maniera sintetica, lo stato dell’arte prima dell’intervento del D.L. 87/2018, in re Decreto Dignità, vediamo quindi quali modifiche ha introdotto la recentissima novella.

L’articolo 9, rubricato – con qualche evidente problema di coordinamento sintattico – “divieto di pubblicità giochi e scommesse“, detta una previsione piuttosto tranchant: si stabilisce, infatti, che «è vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e i canali informatici, digitali e telematici, compresi i social media». Viene quindi dettata una limitazione tendenzialmente assoluta e onnicomprensiva che copre anche quelle forme di pubblicità indiretta derivanti dalle sponsorizzazioni in settori, come quello della cultura e dello sport che invece la normativa del 2015 eccettuava dal divieto. Per il vero, il Decreto Dignità non menziona alcune forme specifiche di pubblicità indiretta che la Legge del 2015 invece escludeva dai divieti, vale a dire quelle relative ai settori della ricerca, della sanità e dell’assistenza, le cui sorti restano, allo stato, oscure: da un lato, infatti, si potrebbe ritenere che, data la portata generale del divieto veicolato dal Decreto Dignità, anche tali sponsorizzazioni siano oramai contra legem; dall’altro lato, invece, parimenti si potrebbe argomentare che la normativa del 2015 opera come lex specialis (dunque prevalente) e, del resto, il legislatore del 2018 ha comunque enumerato alcuni specifici settori, senza però richiamare quelli della ricerca, della sanità e dell’assistenza, sicché essi potrebbero a ragion veduta dirsi ancora eccettuati dalla preclusione (solo tendenzialmente) generale da ultimo introdotta.

Il cd. Decreto Dignità, poi, ha previsto che a decorrere dall’1 gennaio 2019 il divieto in parola si applichi anche alle «sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale, comprese le citazioni visive e acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti la cui pubblicità è proibita». Anche se la norma risulta non particolarmente chiara nel suo tenore testuale, in quanto affetta da quella tanto fastidiosa quanto ricorrente tendenza a esemplificare senza specificare, pare intendersi che vi sia una “moratoria” di meno di sei mesi per tutti quei soggetti (come squadre di calcio, televisioni, ecc.) che si avvalgono, come sponsor, di fornitori di servizi di betting. In buona sostanza, quindi, oltre a essere vietata la pubblicità del gioco d’azzardo (ovverosia quella finalizzata a sollecitare la pratica aleatoria), è vietata anche la pubblicità al gioco d’azzardo (ovverosia quella finalizzata a rendere più noto o più visibile il bookmaker). 

La violazione delle richiamate norme è comunque punita con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 20% del valore della sponsorizzazione o della pubblicità (importo aumentato dalla legge di conversione, a fronte del 5% previsto inizialmente) e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a 50mila €. L’autorità preposta all’accertamento delle violazioni e alla irrogazione delle sanzioni è individuata nell’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni). I proventi derivanti dalla esazione delle sanzioni in parola saranno destinati ad alimentare il fondo per il contrasto al gioco d’azzardo già istituito dal Legislatore del 2015.

Premesso che il Decreto è entrato immediatamente in vigore e, quindi, ha piena efficacia di legge dal 14 luglio 2018 (salve le modifiche apportate dalla legge di conversione, ovviamente efficaci dal 12 agosto 2018), il Legislatore si è preoccupato di dettare una disciplina, per così dire, transitoria con riferimento ai contratti di pubblicità già in corso di esecuzione“, per i quali è stabilito che fino alla loro scadenza e comunque non oltre un anno (dunque non oltre il 14 luglio 2018) continui ad applicarsi la disciplina previgente, ovverosia essenzialmente quella dettata dal Decreto Balduzzi del 2012 e dalla Legge di Stabilità del 2015. 

Per il vero, non pare troppo felice il riferimento ai (soli) contratti “in corso di esecuzione”, posto che in effetti i contratti di pubblicità ben possono atteggiarsi come negozi a esecuzione differita (ad esempio allorquando la trasmissione del messaggio pubblicitario sia calendarizzata dopo un certo periodo di tempo), nel qual caso, pur avendo già le parti sottoscritto l’accordo e quindi facendo pieno affidamento sui relativi benefici economici (introito monetario quale corrispettivo della trasmissione del messaggio vs accrescimento della visibilità del prodotto pubblicizzato), i divieti del Decreto Dignità parrebbero immediatamente operativi. Dal punto di vista civilistico, in ogni caso, pare potersi affermare che i contrattinon in corso di esecuzione” e quelli stipulati per un periodo superiore all’anno dall’entrata in vigore del Decreto Dignità andranno (immediatamente o posticipatamene) incontro ad uno scioglimento per factum principis, derivante da illiceità sopravvenuta dell’oggetto o della causa.

Le altre previsioni in materia di gioco d’azzardo del Decreto Dignità

Il Decreto Dignità ha poi dettato alcune ulteriori previsioni finalizzate a rafforzare il contrasto e la prevenzione della ludopatia, rispetto alla quale peraltro la Legge di conversione si è premurata di statuire – con evidenti finalità di uniformazione linguistica – che «nelle leggi e negli altri atti normativi nonché negli atti e nelle comunicazioni comunque effettuate su qualunque mezzo, i disturbi correlati a giochi o scommesse con vincite di denaro sono definiti “disturbi da gioco d’azzardo (DGA)”».

Allo scopo, allora, si prevede che

  • i tagliandi delle lotterie istantanee debbano contenere messaggi in lingua italiana, stampati su entrambi i lati in modo da coprire almeno il 20 per cento della corrispondente superficie, recanti avvertenze relative ai rischi connessi al gioco d’azzardo. Fatte salve alcune norme di dettaglio rimesse alle fonti secondarie, i messaggi dovranno comunque risultare immediatamente visibili e riportare la dicitura “questo gioco nuoce alla salute“. Analoghe formule dovranno essere applicate anche agli apparecchi da intrattenimento quali slot machine e similari (art. 9-bis);
  • il Ministero dell’economia e delle finanze, d’intesa con il Ministero della salute, curi il monitoraggio dell’offerta dei giochi, anche attraverso una banca dati sull’andamento del volume di gioco e sulla sua distribuzione nel territorio nazionale. Il monitoraggio dovrà considerare in particolare le aree più soggette al rischio di concentrazione di giocatori affetti da disturbo da gioco d’azzardo. È prevista una relazione annuale alle Camere sui risultati del monitoraggio (art. 9-ter);
  • l’utilizzo di apparecchi da gioco soggetti alle norme, sopra richiamate, del 110 TULPS, sia consentito solamente mediante l’utilizzo della tessera sanitaria al fine di impedire il gioco ai minori d’età. Si precisa, tuttavia, che «gli apparecchi privi di meccanismi idonei ad impedire ai minori l’accesso al gioco dovranno essere rimossi dagli esercizi a partire dal 1° gennaio 2020» e, in difetto, sarà irrogata una sanziona amministrativa pecuniaria pari a 10mila € per ciascun apparecchio. La disposizione non brilla per chiarezza, non essendo immediatamente chiaro come la prima disposizione si armonizzi con la seconda: da un lato, infatti, v’è una regolamentazione immediatamente efficace (utilizzo della tessera sanitaria per “accedere agli apparecchi”), dall’altro si posticipa al 2020 l’obbligo per gli esercenti di rimuovere le apparecchiature non a norma. Dunque, medio tempore, i dispositivi potranno ancora esser utilizzati? Una chiave di lettura “armonizzatrice” potrebbe essere quella di ritenere che nell’immediato risulti sufficiente anche la semplice esibizione della tessera sanitaria all’esercente per accertare l’età del giocatore (nel qual caso, peraltro, poco o nulla cambierebbe rispetto al passato, posto che già era ripetutamente vietato dalla legge l’accesso dei minori ai centri scommesse e l’utilizzo degli apparecchi automatici per il gioco d’azzardo), mentre (solo) dal 2020 i dispositivi medesimi non dovranno essere attivabili se non previo inserimento della tessera sanitaria e la validazione dell’età del giocatore (art. 9-quater);
  • venga istituito il logo identificativo “No Slot“. Sebbene le condizioni per il rilascio e la regolamentazione siano rimessi a un Regolamento del MiSE, è fin d’ora previsto che il logo possa essere rilasciato dai Comuni «ai titolari di pubblici esercizi o di circoli privati che eliminano o si impegnano a non installare gli apparecchi da intrattenimento di cui all’articolo 110, comma 6 lett. a) e b)» del TULPS (art. 9-quinquies).
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