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Programmatic native advertising: stato dell'arte e prospettive
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Qual è il ruolo della programmatic native advertising in un scenario sempre più mobile first e quali le prospettive future?
Come si è evoluta la pubblicità online e qual è il ruolo della programmatic native advertising in uno scenario mobile first, dominato da una navigazione sempre più smartphone-centrica? Mentre la maggioranza dei publisher ha superato con successo lo shift critico aprendo alla realizzazione di siti web responsive e applicazioni ad hoc, la risposta degli advertiser è stata lenta e talvolta confusa e non sempre in grado di offrire un’esperienza soddisfacente alle audience di riferimento. Per questa ragione, il contrasto e l’incompatibilità tra contenuto e pubblicità si è acuito.
Molteplici sono gli studi e le case history che illustrano cosa si intenda per scenario mobile first. Tra i più recenti contributi possiamo ricordare il caso Unieuro e DigiTouch: è stato misurato, infatti, l’impatto degli annunci online sugli acquisti offline attraverso AdWords. Si tratta, però, di un esempio particolarmente felice che spiega la perfetta integrazione tra pubblicità su smartphone e acquisto nel punto vendita, con dati davvero sorprendenti. Mediante la realizzazione di campagne geolocalizzate e ottimizzate per i device mobili, sono state generate oltre un milione di visite al sito web e ben 57mila visite mensili ai negozi fisici. È chiaro, dunque, che l’integrazione tra pubblicità online e conversioni offline passi attraverso lo smartphone e piattaforme pubblicitarie in grado di mixare contestualizzazione, geolocalizzazione e monitoraggio.
Del resto, i dati parlano chiaro: secondo le previsioni pubblicate da Zenith nel 2018 la spesa pubblicitaria su mobile raggiungerà quota 134mila miliardi di dollari, mentre il desktop si fermerà a 88 miliardi e la carta a 54. Non sono, però, solo gli investimenti a cambiare direzione: è lo stesso contenuto pubblicitario a cambiare pelle consolidando la propria vocazione per la pubblicità contestuale e nativa a danno degli inefficaci e fastidiosi banner. Non è un caso che i big player sul mercato siano Facebook e Google, che raccolgono circa il 75% della spesa pubblicitaria online.
Il cambio di paradigma travolge anche il mercato audiovisivo: secondo il Report Ooyala, oltre la metà dei contenuti in streaming è fruito da mobile, con una crescita del 15% rispetto allo scorso anno e addirittura del 203% rispetto al 2014. Archiviata l’epoca dei banner invasivi, quindi, il contenuto pubblicitario non solo deve adattarsi alle forme e alle funzionalità di qualsiasi schermo, ma deve anche offrire un’esperienza positiva all’utente, perfettamente integrata rispetto al device e al contesto di navigazione.
La pubblicità nativa si coniuga perfettamente con le modalità di acquisto programmatic, in un felice connubio tra targeting contestuale e ottimizzazione, con performance decisamente soddisfacenti per gli advertiser. Per questo l’unica efficace soluzione per risolvere la crescente incompatibilità tra contenuto e pubblicità su mobile è la programmatic native advertising.
Secondo un report pubblicato da IAB Europe, il programmatic display è cresciuto in Europa del 70,3%, superando quota 5,7 miliardi; il programmatic mobile è il formato che ha conosciuto un incremento del 165%: è evidente, quindi, come il programmatic si sia ormai delineato come il nuovo sistema di riferimento di acquisto e vendita degli spazi pubblicitari.
È in un simile scenario che si delineano due dei trend del mercato pubblicitario di cui sentiremo parlare a lungo nei prossimi anni: da un lato la crescita di Private Market Place per la vendita in real time di spazi native premium che garantiscano l’accesso per brand e aziende a contenuti editoriali esclusivi, dall’altro l’affermazione di un nuovo paradigma pubblicitario che privilegia il contenuto alla mera visibilità, con nuove forme di ingaggio dell’audience e nuove metriche per il monitoraggio dell’efficacia.
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