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È possibile evitare una comunicazione ambigua?

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La comunicazione, capacità innata ed essenziale nell'uomo, spesso è carica di ambiguità e significati celati. Come risolvere il problema?

La comunicazione può essere considerata una di quelle abilità che rendono l’uomo un animale sociale, cioè un essere in grado di trovare il senso della vita nella dimensione relazionale. Ed è infatti proprio grazie alla comunicazione, sia essa verbale che non verbale, che l’uomo si relaziona agli altri esprimendo i propri pensieri, le sensazioni, le emozioni, gli accordi o i dissensi.

L’essere umano impara da subito a comunicare, prima attraverso segnali elementari ed incisivi come il pianto, il sorriso ( comunicazione non verbale ), poi attraverso la familiarizzazione con il linguaggio, imparando a parlare (comunicazione verbale). La comunicazione è dunque una capacità essenziale sia alla sopravvivenza che alla dimensione relazionale umana, al punto da diventare un atto automatico.

L’importanza e l’utilità sono dunque indubbie, ma risulta altrettanto evidente quanto la comunicazione possa generare confusione e ambiguità, ad esempio se non vi è un sostanziale accordo tra la comunicazione verbale e quella non verbale oppure quando un medesimo accadimento viene interpretato secondo due punti di vista differenti. Infatti la realtà non è percepita in maniera oggettiva ma soggettiva, perché continuamente filtrata attraverso i propri sensi che fanno in modo che essa venga interpretata in svariati modi, diversi da persona a persona, influenzandone così anche la comunicazione.

Lo sapevano bene gli studiosi della Scuola di Palo Alto  il cui esponente maggiore fu Paul Watzlawick – che definirono i cinque assiomi della comunicazione:

  1. Non si può non comunicare.
    Ogni interazione tra le persone è una comunicazione e poiché ogni comportamento è portatore di significato per gli altri, esso funge da messaggio; anche i silenzi, l’indifferenza, la passività e l’inattività sono quindi forme di comunicazione al pari delle altre, perché contengono ugualmente un messaggio e, di conseguenza, un significato.
  2. I  livelli della comunicazione di contenuto e relazione si riflettono nella sostanza e nella forma del messaggio.
    Ogni atto comunicativo, oltre a trasmettere l’informazione, presuppone un impegno tra i comunicanti che definisce la natura della loro relazione. Difatti, il ricevente, accettando il messaggio, oltre al suo contenuto oggettivo e manifesto ne accoglie anche un’altra parte, prettamente relazionale, che si manifesta nelle diverse posizioni comunicative dei comunicanti (es. il capo che impone un comando non solo comunica il messaggio oggettivo, ma anche la sua superiorità rispetto al ricevente).
  3. L’ articolazione degli atti comunicativi è data dalla punteggiatura della sequenza di eventi.
    Per punteggiatura si intende l’alternanza degli scambi e dei turni comunicativi. Difatti tale punteggiatura si riflette nella connessione tra l’alternanza e la sequenza degli scambi comunicativi e la relazione che intercorre tra i comunicanti.
  4. Gli atti comunicativi hanno natura analogica e digitale.
    Ogni interazione comunicativa ha un aspetto contenutistico e uno relazionale che saranno rispettivamente trasmessi in modo digitale e in modo analogico. La comunicazione analogica è quella che avviene per immagini ed è prettamente legata alla comunicazione non-verbale, mentre quella digitale avviene per parole ed è quindi legata a quella verbale.
  5. Le interazioni si manifestano con modalità simmetrica e complementare.
    Si classificano due modalità di interazione nella comunicazione: quella simmetrica, basata sull’uguaglianza, e quella complementare, basata sulla differenza. Della prima categoria fanno parte le relazioni in cui entrambi i partecipanti tendono a rispecchiare il comportamento dell’altro, perché hanno pari ruolo all’interno di esse (come nel caso delle diadi dirigente-dirigente o dipendente-dipendente); della seconda categoria fanno parte quelle relazioni in cui il comportamento di uno dei comunicanti completa quello dell’altro, poiché si hanno ruoli differenti (ad es. dirigente-dipendente o madre-bambino).

Questi sono gli assiomi da tenere presente per rendere la propria comunicazione efficace e non ambigua, laddove – ritengono gli studiosi di Palo Alto – la comunicazione ambigua e contraddittoria sia causa di patologia. Secondo la Scuola, con la teoria del doppio legame è possibile spiegare, dunque, come una situazione – che presenta messaggi dalla natura contraddittoria non immediatamente evidente, perché  negata e incomprensibile – possa influenzare il livello psichico del ricevente, esponendolo ad un esordio patogeno (la schizofrenia).

L’esempio esplicativo di questa teoria è dato da una comunicazione ambigua nella diade madre-bambino, in cui la madre comunica a parole (livello digitale) il proprio amore per il figlio, mentre a livello analogico (non verbale) trasmette segnali di rifiuto, ansia e paura, esponendo il bambino a messaggi contraddittori e ambigui, al punto da indurlo a credere che non gli voglia bene. Data quindi la sua necessità di dipendere dalla madre per sopravvivere, il figlio non può che accettare tutto questo, arrivando a definirsi egli stesso ‘cattivo’ per aver messo in discussione l’amore materno e restando in attesa di sviluppare esperienze che gli permettano di dare un senso ai messaggi ambigui e contraddittori.

È la soggettività umana, e quindi la capacità di interpretare e filtrare la realtà attraverso i propri sensi, a rivelare perché all’interno di una comunicazione il senso dei messaggi può essere distorto, avendo delle conseguenze non soltanto su ciò che viene comunicato (contenuto), ma anche sulla forma e sul modo in cui viene recepito dal ricevente (relazione).

Per rendere la comunicazione efficace e non ambigua è necessario, quindi, attenersi agli assiomi della comunicazione individuati dalla Scuola di Paolo Alto, adeguando i propri messaggi al ricevente.

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