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E se i nostri follower ci seguissero davvero?

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Un’artista digitale ha creato Follower, un servizio che garantisce il brivido di un seguace in carne e ossa pronto a venirci dietro per l’intera giornata

A quanto è cresciuto il nostro numero di follower ? Quante persone hanno cominciato a seguirci oggi? E quante hanno smesso di farlo? L’universo di Zuckerberg&co sembra averci abituati a domande simili, oltre alla vaga eccitazione nel sapere che c’è sempre qualcuno pronto a osservare lo scorrere della nostra giornata sulla sua timeline.

Ma che succederebbe se ben oltre i nostri spazi digitali qualcuno ci seguisse davvero negli spostamenti quotidiani, gli incontri, le normali incombenze della nostra vita ‘in carne e ossa’? A questo serve Follower, un «servizio — si legge nella presentazione ufficiale — che garantisce almeno per un giorno un real life Follower. Un compagno invisibile e non invadente, qualcuno che ti guardi vedendoti, qualcuno che si prenda cura di te». L’idea è di Lauren McCarthy, un’artista digitale con tanto laurea in Computer Science del Mit che da anni indaga sulle forme di conoscenza e interazione on e offline. Il meccanismo è semplice: ci si candida per essere ‘seguiti’ sull’apposita piattaforma e, se la candidatura va a buon fine (per il momento vengono accettate solo quelle di chi vive nella City, ndr), si riceve il link dell’app da scaricare sul proprio smartphone. La mattina dell’ ‘inseguimento’ si riceverà una notifica e, da quel momento, il follower sarà costantemente informato dei propri spostamenti tramite segnale GPS in modo da poter vivere insieme, ma non troppo: la promessa è infatti di restare «within your consciousness but just beyond your sight» in ogni momento della quotidianità. Alla fine della giornata e a prova di quanto è accaduto, una foto scattata dal follower in uno dei momenti dell’inseguimento.

Tante le domande e le perplessità suscitate da Follower. Sulla privacy e la sicurezza, innanzitutto. Tanto che la McCarthy ha dovuto sottolineare come le informazioni personali e in particolare i dati forniti tramite geolocalizzazione vengano mantenuti «confidenziali» per tutta la durata dell’esperimento e usati al solo scopo di permetterne lo svolgimento.

Al follower, poi, è fatto divieto assoluto di interferire concretamente con la vita dell’utente e di avere comportamenti diversi da quelli di un «osservatore casuale» della vita degli altri – motivo per cui al momento è la sola artista a ‘seguire’ gli utenti di Follower e anche eventuali candidature per il ruolo di ‘seguace’ verranno scrupolosamente vagliate.

Più difficile, invece, capire perché si dovrebbe desiderare di essere seguiti fisicamente da uno sconosciuto per un’intera giornata. A metà tra performance artistica ed esperimento sociale, Follower fa luce in altre parole su quanto difficile e costoso possa essere instaurare e gestire rapporti umani fuori dal web.

Per questo «prova a offrire alcune forme differenti di interazione e relazione mai avute prima, magari un modo per provare nuove sensazioni e una diversa via per stare al mondo. Oppure aggiunge un pizzico di eccitazione e magia nella vostra giornata o una prospettiva nuova alla vostra vita».  Il riferimento, provocatorio,  sarebbe a quel regime di sorveglianza cui i social — ma ancor prima i media di massa — ci avrebbero abituati. «Li ho seguiti sotto la pioggia, li ho guardati giocare a tennis, cenare con gli amici, seguire un film, fare la spesa, uscire e rientrare da casa — ha spiegato, infatti, Lauren McCarthy in un’intervista a Creative Applications sulla sua esperienza di follower in carne e ossa — certe volte mi è sembrato che stessero facendo cose solo per me, o forse non mi hanno scorto ma non ne sono mai stata sicura. Alla fine della giornata, senza aver mai interagito, li lascio, ed è l’ultimo contatto […] ma c’è qualcosa di stranamente intimo: mi sento come se li conoscessi e come se avessimo avuto una lunga esperienza insieme». Niente di diverso, insomma, di un’intimità fatta di like, commenti, condivisioni, follower che non conoscono che la nostra vita social e una sproporzionata abbondanza di “amici” che, forse, non lo sono veramente.

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