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La campagna con cui l'Italia intende promuovere il pubblico impiego

Chi lo ha detto che il posto fisso non possa essere anche un "posto figo"? È questo il concept della campagna del Dipartimento della funzione pubblica con attivazioni online, in radio e in TV e con testimonial Orietta Berti.

Dopo “Italia: Open to Meraviglia”, un’altra campagna istituzionale ha fatto molto discutere: quella voluta dal Dipartimento dell’informazione e l’editoria e dal Dipartimento della funzione pubblica per «raccontare come sta cambiando la pubblica amministrazione – si legge sul sito del secondo – e promuovere il pubblico impiego»1.

È una campagna rivolta a un target di giovani under 34 «le cui competenze e le cui idee – si continua a leggere nei materiali ufficiali di presentazione – sono indispensabili per la costruzione della nuova macchina amministrava»2. Sono previste diverse attivazioni: per i social e gli altri canali digitali, ma soprattutto per la radio e per la TV. Lo slogan è “Più che un posto fisso, un posto figo!”. La testimonial d’eccezione Orietta Berti.

Un pot-pourri di elementi che rende la campagna, se non completamente fuori target come in molti l’hanno bollata in Rete, comunque confusa nel concept e negli obiettivi.

Uno spot per raccontare dall’interno il lavoro nella pubblica amministrazione

Lo spot di 30 secondi – presentato in anteprima sui principali tg nazionali, in onda da venerdì 15 settembre 2023 sulle reti RAI e disponibile anche sul canale YouTube del Dipartimento della funzione pubblica – ha rappresentato fin qui il cuore della campagna “Più che un posto fisso, un posto figo!”.

Racconta, come spiega lo stesso Dipartimento, «una giornata tipo al lavoro» nella Pubblica Amministrazione e lo fa affidandosi al punto di vista di Lucia, una giovane architetta comunale.

Campagna comunicazione istituzionale Pubblica Amministrazione
Campagna comunicazione istituzionale Pubblica Amministrazione

Imbracciato lo smartphone e impostatolo in modalità video-selfie, la protagonista dello spot porta lo spettatore con sé prima lungo tragitto casa lavoro dove incontra un autista di scuolabus e un’assistente sociale già pronti ad affrontare le proprie task quotidiane, poi dentro gli uffici comunali dove di lì a poco anche lei si immergerà nella routine di call e riunioni dal vivo con colleghi che stanno lavorando agli stessi progetti. Durante una pausa Lucia riceve una videochiamata da Orietta Berti che le chiede un feedback sul nuovo lavoro: è il la perfetto per pronunciare la frase che fa da slogan alla campagna, “Più che un posto fisso, un posto figo!”.

Da un punto di vista narrativo insomma lo spot si sviluppa in maniera semplice, lineare e nel complesso coerente.

Se l’obiettivo della campagna era mostrare dall’interno come funziona la PA e sfatare alcuni miti duri a morire sul lavoro pubblico, meno comprensibile appare invece la scelta del Dipartimento di affidarsi a sceneggiatura, attori, recitazione e non a un racconto davvero in prima persona, condotto da chi realmente si reca ogni giorno a lavoro in un ufficio pubblico. Questa impressione potrebbe risultare persino amplificata quando si viene a sapere che – come hanno riportato3 numerose testate – a interpretare Lucia, la protagonista dello spot, è Federica Archetti: una donna con la passione per la recitazione che anche nella vita reale lavora per un ente pubblico (l’Agenzia delle Entrate).

Affidare il racconto d’impresa ai propri dipendenti è diventato per molti brand in questi anni la nuova normalità, soprattutto quando l’obiettivo è raggiungere generazioni più giovani di – potenziali – consumatori o collaboratori che dalle aziende con cui entrano in relazione si aspettano soprattutto autenticità e trasparenza: aiuta a mostrare il volto più umano dell’organizzazione e, cosa che non guasta mai, a far sentire più partecipi e direttamente coinvolte le persone dell’azienda.

Forse si sarebbe potuto affidare insomma il racconto di una PA sempre più al passo coi tempi, in cui molti processi sono semplificati e snelliti e che è ormai piuttosto lontana dagli stereotipi alimentati per anni dal cinema e dalla TV a un vero dipendente della pubblica amministrazione, che fosse presentato esplicitamente e che parlasse come tale. Il messaggio che anche il posto fisso può essere tra i posti fighi in cui molti ambiscono di lavorare sarebbe passato ugualmente, se non più forte e chiaro.

“Più che un posto fisso, un posto figo!”: lo slogan con cui la PA cerca di sedurre i più giovani

Uno degli aspetti meno convincenti dello spot per la nuova campagna del Dipartimento della funzione pubblica è proprio l’eccessiva recitazione che finisce per far apparire posticci la spensieratezza con cui Lucia si mette in bici ogni mattina per andare a lavoro, l’entusiasmo con cui l’autista accoglie i piccoli studenti che vanno a lezione in scuolabus, il sorriso stampato in volto all’assistente sociale che accompagna gli anziani nelle più semplici commissioni quotidiane.

Non sono scelte difficili da spiegare da un punto di vista narrativo: rientrano nel tentativo di sviluppare, forse un po’ troppo pedissequamente, lo slogan della campagna, “Più che un posto fisso, un posto figo!”.

Sono scelte certamente più difficili da spiegare in riferimento a un target che, sempre più avvezzo a candidarsi per una nuova posizione lavorativa su LinkedIn o altri portali simili e a svolgere online molte fasi del processo di recruiting, è abituato a toni decisamente meno ingessati – e meno “burocratesi” soprattutto – anche nelle conversazioni che riguardano il lavoro.

Vista in questa prospettiva, insomma, la nuova campagna per promuovere il pubblico impiego sembra tradire le sue stesse premesse.

Come già abbondantemente anticipato l’intenzione era di dare un’immagine della PA svecchiata, al passo coi tempi e che risultasse d’appeal per i più giovani, soprattutto in vista delle nuove opportunità d’impiego in arrivo entro la fine del 2023 (sono previste 170 mila nuove assunzioni che diventeranno 350 mila entro l’anno successivo, la maggior parte concentrate nella scuola). Nei fatti e a dispetto dello slogan , la campagna sembra fallire già nell’interpretare cosa le nuove generazioni considerano figo in ambito lavorativo.

È vero che meno dei propri genitori e dei propri nonni i giovanissimi che si avvicinano al mondo del lavoro considerano prioritaria la stabilità economica e il trovare un lavoro che sia “il” lavoro della vita: il famoso “posto fisso” alla Checco Zalone, citato anche nei materiali stampa tra gli stereotipi che Governo e Dipartimento si impegnano a combattere. La campagna sembra aver interpretato, però, un po’ troppo alla lettera e soprattutto un po’ troppo semplicisticamente il desiderio che accomuna le generazioni più giovani di essere felici sul posto di lavoro. Desiderio che non sempre e non necessariamente si traduce nell’essere entusiasti e sorridenti all’idea di dover compiere ogni giorno, «puntualissimi» alla stessa ora, sempre le stesse task come spesso il pubblico impiego ancora richiede di fare.

Forse involontariamente, la campagna finisce in altre parole per veicolare l’idea che lavorare per una Pubblica Amministrazione sia una sorta di servizio che si fa alla comunità – un concetto simile è stato espresso anche dal Ministro per la pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, durante la presentazione4 della campagna – e che in quanto tale richieda una dedizione totale e continua. Dedizione totale e continua che i più giovani devono considerare, però, tutt’altro che figa considerato il boom di dimissioni presentate durante la pandemia di COVID-19 proprio per provare a cercare un miglior work life balance e che anche chi non si è dimesso formalmente continua a farlo ogni giorno dedicandosi solo ed esclusivamente alle mansioni lavorative per cui è pagato e solo ed esclusivamente per il numero esatto di ore retribuite (un fenomeno, quest’ultimo, anche conosciuto come “quiet quitting”).

Nella campagna che avrebbe dovuto avvicinare i più giovani alle istituzioni e convincerli, perché no, a cercare sul portale dedicato eventuali concorsi pubblici in linea con le proprie competenze e il proprio profilo professionale – questa è la sorta di call to action con cui si chiude lo spot – sembra aleggiare, cioè, quella stessa positività tossica in cui ci si imbatte spesso in ambienti lavorativi frequentati soprattutto da millennials e giovanissimi della generazione z , come quelli delle nuove professioni digitali, per esempio.

C’è davvero bisogno di scimmiottare modi di parlare, gesti, abitudini dei più giovani per provare a coinvolgerli?

Non è l’unico cliché in cui la nuova campagna del Dipartimento della funzione pubblica finisce per rimanere ingabbiata mentre prova a combattere lo stereotipo di una PA poco efficiente, macchinosa e semplicemente vecchia perché, a causa del blocco del turnover, l’età media di chi ci lavora è spesso superiore a 55 anni. Scegliendo uno slogan come “Più che un posto fisso, un posto figo!”, che stride con il tono di voce che caratterizza il grosso delle comunicazioni nel campo, finisce per alimentare anche quello di un certo giovanilismo a tutti i costi.

Lo si nota in scelte linguistiche che nelle migliori intenzioni di chi ha ideato la campagna (una delle tredici agenzie che hanno risposto all’apposita richiesta pubblicata sul MePA si è limitato a rivelare questa volta il Dipartimento, forse memore dei guai anche legali in cui è stato trascinato il Gruppo Armando Testa per la campagna con la Venere influencer) devono essere sembrate un buon modo per avvicinarsi al modo di parlare dei più giovani e che, invece, riescono solo a imitarlo male.

Prossemica e gestualità degli attori non sono da meno: sul finire dello spot potrebbe venire spontaneo chiedersi chi mai, anche nel più informale degli ambienti di lavoro, reagirebbe con un pollice all’insù alla fine di una riunione con il proprio team.

Campagna_Posto_figo_2023

Fonte: Dipartimento della funzione pubblica

Dal Dipartimento devono avere una bizzarra visione di quegli stessi giovani che provano a coinvolgere, se il meglio che riescono a fare è trasformarli in sorte di meme viventi.

Che ci fa Orietta Berti in uno spot che vuole avvicinare i giovani al pubblico impiego

C’è infine la “questione” Orietta Berti. Non è la prima volta che la cantante viene scelta come testimonial di campagne che si rivolgono principalmente a un pubblico di giovani e giovanissimi: lo hanno fatto in tempi recenti Coca-Cola e Subito.

C’entrano senza dubbio una serie di collaborazioni musicali, come quelle con Fedez e Fabio Rovazzi, che hanno fatto sì che la cantante venisse (ri)scoperta anche da un pubblico con gusti che poco hanno a che vedere con il suo repertorio e che spesso non era neanche nato ai tempi in cui giravano in radio i suoi pezzi più noi.

La sua apparizione nello spot della campagna “Più che un posto fisso, un posto figo!” rimane non del tutto spiegata, però, se non sul piano della comparsata appunto.

orietta berti campagna posto figo

Un frame dello spot della nuova campagna del Dipartimento della funzione pubblica con testimonial Orietta Berti.

Non è chiaro perché di punto in bianco videochiami la protagonista e le chieda come stia andando a lavoro, né in che ruolo lo faccia. Forse in quello che tutti ormai le riconoscono di “zia” nazionale? E, intendendola in questo senso, quando un’anziana zia che non si vede da molto tempo chiama per sapere come va, che resta da dire (in qussto caso alla protagonista dello spot) se non che nelle propria vita tutto è figo, lavoro incluso?

Note
  1. Dipartimento della funzione pubblica
  2. Presidenza del Consiglio dei Ministri
  3. Il Post
  4. YouTube/ Dipartimento della funzione pubblica

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