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L'AGCOM stabilisce i criteri per l'equo compenso che le piattaforme digitali devono riconoscere agli editori

regolamento AGCOM sull'equo compenso dei web editor
Fonte: Twitter/ @AGCOMunica

Un regolamento AGCOM è intervenuto a chiarire come ripartire equamente parte dei ricavi pubblicitari derivanti dalla diffusione di contenuti giornalistici tra editori e fornitori di servizi digitali (come Meta, Google, ecc.).

Arriva il regolamento AGCOM sull’equo compenso dei web editor per i contenuti di loro proprietà diffusi dalle piattaforme digitali e da cui le ultime traggano ricavi.

Cosa ha reso necessario regole sulla ripartizione dei ricavi tra piattaforme ed editori digitali

In questo modo, dopo una consultazione pubblica e dopo aver ascoltato soprattutto il parere delle parti interessate, anche l’Italia recepisce la più recente direttiva europea sul copyright.

Approvata nel 2019, la direttiva accertava, tra le altre cose, l’esistenza di uno «squilibrio di ricavi»1 tra big tech come Meta o Google e i singoli editori digitali nella diffusione dei contenuti online. Agli ultimi, specie se titolari, come quasi sempre accade dei diritti d’autore sulle «pubblicazioni di carattere giornalistico», veniva riconosciuto così, all’articolo 15, un «diritto di riproduzione e comunicazione al pubblico» sui contenuti. Concretamente si trattava della possibilità di chiudere accordi con le diverse piattaforme per dividere, o, almeno, partecipare ai guadagni legati alla ricondivisione dei contenuti giornalistici.

Il nuovo regolamento AGCOM sull’equo compenso dei web editor ha appunto lo scopo di incentivare gli accordi tra gli editori digitali – e più in generale le imprese media – e i fornitori di servizi della società dell’informazione, ossia i gestori di piattaforme come Facebook, Twitter, Google. Intende farlo conciliando al meglio il diritto all’informazione, e alla pluralità della stessa, con interessi più smaccatamente commerciali e legati a pratiche tipiche del mercato di riferimento.

Cosa prevede il nuovo regolamento AGCOM sull’equo compenso dei web editor

La principale novità introdotta è la possibilità per ciascuna delle due parti, editore e prestatore di servizi digitali, di rivolgersi all’authority qualora dopo trenta giorni dall’avvio delle trattative non si sia giunti a un accordo concreto sulla spartizione dei ricavi provenienti dalla pubblicazione e diffusione di notizie e altri contenuti di stampo giornalistico.
L’autorità garante ha, a propria volta, sessanta giorni di tempo per indicare quale delle proposte economiche avanzate dalle parti sia conforme ai criteri stabiliti dal regolamento AGCOM sull’equo compenso dei web editor o per indicare autonomamente qual è, a proprio avviso, il giusto compenso per l’editore digitale, se non ci sono ancora proposte o nessuna è compliant alle previsioni.

Nel comunicato stampa che dà notizia dell’approvazione del regolamento vengono forniti maggiori dettagli sia sulla base da cui viene calcolato l’equo compenso per i web editor, sia sui criteri utilizzati per farlo.

Nel primo senso contano i ricavi pubblicitari derivati alle piattaforme dalla condivisione e dalla diffusione dei contenuti di stampo giornalistico, al netto però «dei ricavi dell’editore attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web». L’equo compenso può valere fino a un massimo del 70% di tali ricavi “netti”.

Il valore in concreto viene determinato di volta in volta in base ad alcuni parametri, come:

  • quante consultazioni hanno online le pubblicazioni, sulla base di metriche ad hoc;
  • che rilevanza ha sul mercato l’editore digitale, tenendo conto in particolar modo della sua audience;
  • quanti sono i giornalisti alle dipendenze dell’editore;
  • quanti sono i costi effettivamente sostenuti per investimenti tecnologici o infrastrutturali indispensabili per la realizzazione dei contenuti giornalistici;
  • quali sono i costi sostenuti dal fornitore di servizi allo stesso scopo;
  • se editore e prestatore rispettano regole e standard previsti a livello internazionale, per esempio sul fact checking delle informazioni o per quanto riguarda le regole deontologiche della professione giornalistica;
  • «storicità» della testata, stimata sulla base del numero di anni da cui l’editore è in attività.

È la stessa autorità garante a chiarire che questi criteri vanno applicati alle negoziazioni tra editori e piattaforme digitali «cumulativamente» e «con rilevanza decrescente». Vuol dire, in altri termini, che a determinare la quantità dei ricavi pubblicitari da dividere tra editore e prestatore dei servizi digitali è più il numero delle volte che una notizia è stata letta che non quanto forte è il brand giornalistico in questione.

A chi si applica il nuovo regolamento AGCOM sull’equo compenso per gli editori digitali

L’autority chiarisce anche che il nuovo regolamento AGCOM sull’equo compenso dei web editor si applica anche nel caso di contenuti giornalistici ripresi da imprese di media monitoring e rassegne stampa.

In questo caso la base di partenza per calcolare il compenso spettante agli editori per i contenuti giornalistici di cui detengono i diritti d’autore è il fatturato delle imprese, almeno per la parte riconducibile alle attività di media monitoring e rassegna stampa.

Non c’è, diversamente da quanto previsto per le piattaforme digitali, un’aliquota massima soprattutto perché in questo caso la platea di riferimento comprende soggetti molto diversi tra di loro.

Per la stessa ragione anche i criteri per il calcolo dell’equo compenso risultano più flessibili per le realtà che si occupano di media monitoring e rassegna stampa.

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